giovedì 28 giugno 2012

Breve guida alla scoperta dei maschilisti

Ecco una breve guida che aiuterà le lettrici e i lettori a orientarsi nel vasto mondo del maschilismo, per imparare a riconoscere il maschilista nell'ambiente naturale e per evitare di incorrere in fastidiosi misunderstanding che potrebbero condurvi a fraintendere la natura dell'essere che vi trovate davanti.

Innanzitutto un punto metodologico: il maschilista ama esprimersi con i gesti. Il suo particolare linguaggio corporale è inequivocabile ed assai facile da individuare. Meno intuitiva è l'individuazione attraverso il logos, che è però l'unico altro metodo possibile. La sola osservazione infatti solitamente non basta. Questo semplice test invece vi permetterà di discernerlo con certezza in pochissimo tempo.

Tutto quello che dovrete fare sarà introdurre l'argomento della violenza sulle donne. A quel punto, il maschilista si paleserà con rispostee che sarà possibile collocare all'interno di un ben definito ventaglio di possibilità, che qui elenchiamo:

- "Gli uomini sono violenti per via del testosterone", detta "ipotesi naturalista"; 

- "Le donne provocano", detta "ipotesi del concorso di colpa";

- "Gli uomini diventano violenti perché ormai la famiglia non esiste più e tutto va a scatafascio", detta "ipotesi catastrofista";

- "Le donne in realtà hanno in mano le redini del potere e inventano bugie per annientare gli uomini", detta "ipotesi del complotto o del NWO (New Women Order)";

-  "La colpa è delle madri che non educano bene i figli", detta "ipotesi della partenogenesi";

- "Gli uomini diventano violenti perché le mogli cattive con il divorzio gli tolgono tutto", detta "ipotesi del fake";

- "Male che vada le donne possono usare le loro capacità seduttive per cavarsela in ogni situazione", detta "ipotesi dell'invidia delle mammelle";

- "Le donne non sono capaci di aiutare gli uomini infelici o non vogliono, e così questi ultimi diventano violenti", detta "ipotesi dell'infermiera incompetente o cattiva";

- "Sono altri i problemi del paese", detta "ipotesi benaltrista", particolarmente insidiosa perché tende ad insinuarsi anche in habitat teoricamente ostili al maschilismo.

Speriamo che questa guida vi renda più semplice l'orientamento e vi aiuti nelle vostre scoperte. In ogni caso ricordatevi che a volte può essere utile nelle escursioni portare con sè un bastone da passeggio. 



martedì 26 giugno 2012

Grillo in Oriente

Della famosa intervista rilasciata da Grillo al quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth si è già parlato molto. Si è detto delle sparate sul complotto pluto-giudaico che governerebbe tutti i mezzi di informazione (a Grillo non passa per neanche per l'anticamera del cervello il fatto che lo sguardo di favore che tanti media riservano a Israele sia una questione polica, e non un incantesimo del Mossad), di quelle sui matrimoni omosessuali e dei famosi "errori di traduzione" che il suocero iraniano di Grillo avrebbe trovato nei messaggi di Osama Bin Laden, ripetendo a pappagallo la vulgata del regime di Tehran.

Io invece mi vorrei soffermare - perdonatemi la deformazione dovuta ai miei studi universitari - sull'orientalismo di Grillo, su quello che il giornalista israeliano definisce (qui) ignoranza, ma che è invece l'espressione di un'idea molto precisa del mondo. La stessa idea che impregna ogni riga scritta da vicini di idee di Grillo quali Massimo Fini.

La prima cosa che ho notato leggendo gli estratti dell'intervista riportati, ad esempio, qui è che Grillo utilizza per parlare dell'Iran la tipica attitudine dei due pesi e delle due misure. Se infatti in Italia Grillo non rivolgerebbe mai la parola a un grande costruttore, in Iran il "cugino che costruisce le autostrade" è un fine analista dell'economia del paese, tanto da poter essere utilizzato senza dubbio come fonte da citare in un'importante intervista. Ciò che è valido qui, non è detto che sia valido lì, perché lì è diverso. La stessa giustificazione che usava Montanelli per motivare la sua convivenza con una bambina di 13 anni durante la gloriosa avventura civilizzatrice italiana in Africa Orientale.

Il secondo elemento che salta agli occhi è una vena di ammirazione, l'invidia per un mondo in cui "le donne sono il centro della famiglia", e insomma tutto è al suo posto. Esattamente come in un certo decrescitismo (si veda qui) e di sicuro come nel comunitarismo rosso-bruno, si ha una gran nostalgia per i bei tempi andati in cui le donne avevano il loro posto in casa, in famiglia e gli uomini (questo rimane sottinteso) tutto il resto. Che bellezza quei popoli che ancora vivono in questo modo, che saggezza, che genuinità. Loro non sono corrotti. Ci sarebbe tanto da imparare eh sì. Neanche l'ombra di un accenno alle sofferenze patite dalle donne iraniane a causa della legge della Repubblica Islamica, né alle loro lotte. L'Iran è un luogo in ordine (cos'è più orientalista di questo), in cui l'economia va bene e la società vive in una sorta di equilibrio naturale. Da noi le cose vanno male, perché i politici corrotti, le femministe o gli immigrati (questi fattori sono intercambiabili a seconda del pubblico che si desidera affascinare) alterano l'armonia della convivenza umana.

Per chi desiderasse approfondire la questione delle "donne al centro della famiglia" e della giustizia che tutto sommato regnerebbe nella Repubblica Islamica (anche se sì vabbè gli oppositori scappano), può leggere qui.

martedì 5 giugno 2012

Riprendiamoci il calcio

Fino a nove anni sono stata una bambina che giocava con le barbie. E' impossibile giocare con le barbie con convinzione, e infatti io ero una giocatrice interdetta. Adoravo i vestitini colorati, i capelli lunghi, le minuscole scarpe dalle fogge più diverse, ma poi, in realtà, oltre a guardarli non sapevo bene che fare. Le pubblicità facevano intuire, nascoste dentro quei vitini di plastica, potenzialità immense, che la fantasia di una bambina avrebbe dovuto schiudere in ore e ore di avventure. Ma la verità è che le barbie non solleticano per nulla la fantasia, non sono fatte per questo. Sono rigide, costipate, inespressive. Non hanno negli occhi la cruda decisione dei bambolotti da maschio, né le ginocchia snodabili, né un'infinità di aggeggi con cui compiere imprese eroiche, come scalare i palazzi, librarsi in volo, prendere in trappola i nemici. Ogni tanto il desiderio diventava più forte della paura e chiedevo una tartaruga ninja o un pacchetto di micro machines. Avevo sempre la sensazione che i grandi mi guardassero storto quando volevo giochi da maschio, che questo fatto li rendesse preoccupati e fastidiosamente intrusivi nei miei confronti.

Poi sono arrivate le età a due cifre, le scuole medie e, finalmente, la libertà dalla schiavitù dei giocattoli. Ora i miei mi davano la paghetta, e così cominciai a comprarmi gli album di figurine e le card dei calciatori. Non ero l'unica: nella mia scuola c'era una piccola comunità di ragazzine che collezionavano materiale sul calcio, sapevano tutto del campionato, delle coppe e di ogni impegno della Nazionale e qualche volta, quando avevano abbastanza coraggio, giocavano pure. Il calcio giocato nella maggior parte dei casi era troppo per noi, e di solito ce ne stavamo in disparte nel campo di pallavolo, che era relegato in un angolo del cortile tra le sbarre che ci separavano dalla strada e le buie colonne che sostenevano la scuola. Proprio per la posizione un po' equivoca del campo la professoressa di ginnastica era sempre da noi, mentre i ragazzi giocavano al centro del cortile, nella grande spianata di asfalto venato su cui i confini del campo da calcio e le porte, dipinti in vernice rossa, si distinguevano a malapena. A volte tiravano pallonate così forti che arrivavano a centrare le finestre più alte della scuola. Il calcio era un gioco per gente sudata, che aveva l'obbligo tassativo di farsi la doccia prima di rientrare in classe. Noi ragazzine, con i nostri palleggi ciondolanti, non avevamo neanche bisogno di portarci un cambio di vestiti da casa.

E poi c'erano le urla, e i falli sulle gambe, i capelli tirati, gli spintoni. Alle medie puoi competere fisicamente con i coetanei maschi, e ne hai anche voglia. Ogni volta che potevo allungavo qualche ceffone nella mischia, approfittando di un momento di distrazione dei prof. Ma per quanto riguarda giocare, bisognava saperlo fare. Non basta sapere le regole, leggere ogni giorno le pagine sportive, conoscere a memoria ogni dato tecnico delle giovani promesse del momento. Nella stagione '96-'97 la Sampdoria arrivò a soffiare sul collo della Juve in testa alla classifica, Montella segnò 22 gol e il Milan le prese sia all'andata che al ritorno. Ma io non giocavo.

Lo feci una volta sola nel cortile della scuola. Le gambe erano impacciate, i piedi rigidi, avevo paura di staccare gli occhi dalla palla. Per vendicarmi contro quell'incapacità azzoppai un mio compagno di classe. Da allora non ho mai più giocato a calcio in pubblico, e così non ho mai imparato nulla a parte la teoria. Inoltre, non ho mai smesso di odiare la pallavolo. E so che non solo la sola.

Faccio appello alle mie compagne di scuola, alle ragazzine che ai giardinetti stanno a guardare, alle migliaia di donne che nell'infanzia, invece di far correre a calci un pallone, hanno dovuto prendere in mano una racchetta da badminton o imparare a ricevere di bagher: riprendiamoci il calcio!


Un festival di tre giorni a Bologna per ripensare il calcio.  A Ottobre.
Di giorno conferenze e incontri, di sera reading e concerti.
In mezzo proiezioni di film e documentari, torneo di calcio a cinque, bar sport, workshop di costruzione della palla per bambini. E tanto altro ancora.
John Foot, Simon Kuper, David Winner, David Goldblatt, Gianni Minà, Valerio Mastandrea, Paolo Sollier, Wu Ming, Guido Chiesa, Diego Bianchi, Mimì Clementi saranno con noi, anche per organizzare l’evento. Tanti altri amici italiani e stranieri continuano ad aggiungersi.
Tutti gli eventi congressuali saranno ad accesso gratuito. Grazie anche alle decine di volontari che hanno generosamente offerto il loro aiuto per l’organizzazione.

Tifa Fútbologia
Se vuoi ragionare sul calcio e divertirti con il calcio, se vuoi venire al festival o seguirlo su internet con liveblogging, eventi in streaming e pubblicazione degli atti, partecipa al progetto:

www.futbologia.org