giovedì 29 marzo 2012

Just in time

Nell'intervista ripresa ieri su Lipperatura, Luciano Gallino fa un'utilissima analisi su quelle che sono le origini della precarietà e le motivazioni che la rendono epidemica: non si tratta di un problema di costi (o del fatto che i padroni hanno paura di doversi tenere per forza un lavoratore che a un certo punto comincia a rubare, si gira i pollici dalla mattina alla sera o finge malanni per concedersi ripetute vacanze extra, come pure sostiene una buona fetta di popolazione ingrassata a pane e Libero). Ed è altrettanto falso che la precarietà aiuti a rilanciare l'occupazione in un momento in cui, per qualche misterioso motivo, il lavoro andrebbe estinguendosi dalla faccia della terra, tant'è che negli ultimi vent'anni, cioè da quando la flessibilità lavorativa è stata introdotta e poi continuamente incrementata, l'occupazione in Italia non è cresciuta (vedere i dati qui).

Il grande vantaggio dei lavoratori precari, è che si può mandarli via quando non servono più, o si può modificare il loro stipendio e la loro presenza in modo totalmente discrezionale. E le imprese hanno talmente approfittato di questa possibilità, che ora tutto il sistema economico ne è completamente dipendente. Come spiega Gallino, hanno ridotto all'osso il numero dei loro impiegati fissi, e hanno esternalizzato e precarizzato il più possibile, tanto che ora ogni anello della catena funziona così.

E' il lavoro just in time, cioè il lavoro che comincia esattamente nel momento in cui ce n'è bisogno per finire esattamente nel momento in cui non è più indispensabile. E' il principio del risparmio energetico applicato agli esseri umani. Per cui da un full time si può passare a un part time in un battibaleno, a seconda della stagione dell'anno o di quanto sono gonfie le casse di un'azienda, oppure si può essere assunti e licenziati a fasi alterne, rimbalzando tra l'occupazione e la disoccupazione come se ci si trovasse appesi a un elastico da bunjee jumping. Così come il clima stravolto dall'inquinamento, anche l'economia globalizzata vive stagioni di grande devastazione e l'arsura polverizzatrice può cedere il passo a repentine alluvioni. Peccato che gli imprenditori, grandi o piccoli che siano, abbiano utilizzzato le pietre degli argini per costruirsi la casa al mare.

La casa al mare è tutt'altro che una - peraltro banale - metafora. I due tratti fondamentali che caratterizzano la fisionomia economica degli ultimi 20 anni sono un po' ovunque l'aumento della forbice che separa i ricchi dai poveri e la precarizzazione del lavoro, che diventa via via sempre più flessibile e informale. Il rischio di impresa viene fatto ricadere sui lavoratori, fatto che ha la straordinaria conseguenza di causare un'impennata nei profitti. E laddove i grandi danno l'esempio, i piccoli seguono a ruota.

E scendendo a valanga dal globale alla solita localissima pizzeria, ecco che quello che va blaterando il mio capo da qualche giorno - "qui dentro siamo diventati troppi" - assume tutta un'altra proporzione. I ristoranti da asporto non appena il clima diventa più tiepido iniziano a lavorare meno. E allora si finge di cadere dalle nuvole e si chiede a qualcuna di sacrificarsi (quella qualcuna, per inciso, al momento sono ovviamente io), affidandole il gravoso e nobile compito di scendere a patti con la dura realtà della vita e di caricarsi sulle spalle il peso della riduzione delle entrate.

E per inciso, il fatto che il capro dell'occasione sia una lavoratrice è anch'esso perfettamente in linea con l'andazzo generale, dal momento che questa situazione, com'è ovvio, affligge tutti, però precarizza di più le donne, che rappresentano il 50% della forza lavoro precaria pur essendo solo il 40% della forza lavoro totale.

Come cantava Gene Kelly, stringendo la mano di Julie Andrews, "Just in time I find you, just in time. Before you came my time was runnin' low".

2 commenti:

  1. Non so cosa dire. Perché provo impotenza davanti a questa realtà. Ma non si rendono conto dei danni che continuano a creare, lavorando così?

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    1. ciao carolina, come sempre ti ringrazio per l'empatia che dimostri sempre nei confronti di quello che scrivo :)
      a volte però mi rendo conto di sbagliare, perché troppo spesso utilizzo questo blog per rendere in qualche modo costruttive certe brutte giornate, e non era proprio questo il mio, seppur vago, progetto iniziale. perché non siamo affatto impotenti, e mi dispiace molto che questo post ti abbia fatta sentire così. siamo la più grande forza della società, invece (e mi sto riferendo all'insieme delle lavoratrici e dei lavoratori), dobbiamo solo metterci insieme nelle molte realtà in cui ancora non lo siamo e organizzarci al meglio.

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