venerdì 16 novembre 2012

La legalizzazione delle slot mascin

All'indomani di una giornata come quella dello sciopero europeo, la lavoratrice di tastiera si sveglia con il cuore intenerito dalla speranza. Ancora i piedi si muovono al ritmo della musica di stoviglie suonata da una band di educatrici precarie, e le mani frullano nella colazione come se volessero raccontare a tutta la cucina i dettagli di quanto accaduto.

Prima o poi però si torna al lavoro, al computer ormai bolso, appoggiato su due libri perché il contatto con il legno smaltato della scrivania non lo conduca oltre il punto di fusione; ai cataloghi di offerte di lavoro per cui non ho nessuna chance, recapitati ogni mattina dalla mia casella di posta e che una fitta di senso di colpa mi impedisce di etichettare come indesiderati; alle mail dei datori di lavoro che invece mi vogliono, sconosciuti che non sentirò mai parlare nella loro lingua madre e che in uno scarno inglese mi inviano gli elenchi di numeri e parole chiave che un bel momento fruttificheranno nel mio reddito.

Ultimamente le loro lettere si fanno più rade e io mi ritrovo a sentire la mancanza di loro in persona. Ne immagino le figure di giovani startupper, stagliate contro un tramonto mediorientale oppure fieramente sedute nei loro uffici, con maturità, nonostante i capelli ancora neri e le spalle snelle da bagnanti sudeuropei. Perché loro hanno un ufficio, a differenza mia. Devono pur avercelo un ufficio, un luogo in cui sono catalogate voci di spesa come la mia camera in affitto, le mie bollette, i pranzi e le cene. Una stanza con grandi finestre azzurre e mobili chiari per esprimere efficienza e per omaggiare la luminosa nazione virtuale da cui i committenti provengono. Il bianco è il colore di internet, come le mele smangiucchiate dei supporti di lusso, come i template raccomandati per veicolare i Vostri contenuti, come gli immensi spazi vuoti nei quali galleggia il ranking di un sito web. 

E nella povertà dei contatti persino una notizia comunicata per dire altro, per esplicitare il tema di un articolo da scrivere, diventa quasi un gesto di affetto. A dicembre la versione virtuale delle slot machine verrà legalizzata anche in Italia. Una notizia insulsa, persino dannosa, che però per me significa con ogni probabilità  un nuovo marzo lavorativo, lo scioglimento dei ghiacciai in cui al momento i soldi che potrebbero spettarmi sono intrappolati. So che potrei ritrovarmi a scrivere cataste di articoli con l'obbligo di utilizzare parole come "slot mascin" con la sh, "slot machines" con la esse, "slots machines" con la doppia esse, ma ugualmente sussulto come per un'endovena di entusiasmo. 


Essere freelance - non cominciate a balbettare dei "ma" e dei "però". Il mio è davvero un lavoro di scrittura ed è davvero un lavoro freelance, ma è anche, davvero, un lavoro idiota, privo di qualunque utilità sociale e anzi pure nocivo - vuol dire spesso avere un rapporto del tutto distorto con i propri datori di lavoro. I rapporti diventano allo stesso tempo personali e del tutto oscuri. La/Il freelance in molti casi vede solo una porta chiusa, decorata da un logo realizzato probabilmente da un altro freelance come lei/lui (l'annuncio su Odesk diceva così: "I need a logo designed around my company's name since that's my brand. It will need to be something trendy, modern, slick, with a presence. Good examples would be Kenneth Cole, Calvin Klein, Hugo Boss, Apple, etc... For reference please visit my site"). Il datore di lavoro (o il responsabile delle risorse umane) scrive gli ordinativi su dei foglietti che poi infila sotto la porta. Nei momenti vuoti, la/il freelance aspetta con i gomiti sulle ginocchia e immagina la stanza celata dalla porta. A volte sospetta che dietro il logo ci sia una vecchia scrivania di legno, con il computer appoggiato su due libri, proprio come la sua. 

La freelance è indotta a pensare di essere tutto sommato in una relazione di parità con il proprio datore di lavoro/committente. Dopotutto, dice a se stessa, anche io per lui sono qualcuno che sta dietro una porta chiusa. Ovviamente non c'è nessuna parità quando il lavoratore non ha il controllo sulla produzione, anche se la produzione è "immateriale". E chi deve inseguire la propria mesata articolo per articolo, briciola per briciola, non ha proprio il controllo di nulla, anche se lo fa "coi suoi tempi", "in autonomia".

Il datore di lavoro diventa semplicemente l'emissario di un'industria i cui unici recapiti conducono a palazzine fitte di nomi situate in qualche arcipelago tax free, oppure ancora a loghi, fotografati dallo spazio, incisi sul mondo perché il mondo stesso, per questi mostri, è solo una mappa da esplorare col mouse. Singoli che si relazionano con singoli, di fronte a un potere economico che fa di tutto per darsi alla macchia, per diventare idea, un qualcosa che si può contestare ma non colpire. La rubrica dei contatti come strumento di lavoro, lo strumento più sterile e innocuo che ci sia. La rete disarma i lavoratori, li fa passare nel tritacarne della produzione più inutile e seriale, riducendoli in poltiglia incapace di esprimere alcunché all'interno dei rapporti economici.

Alcuni si accodano ai megafoni dei freelance d'alto bordo, ritagliandosi un ruolo simbolico, di denuncia. Alcuni inseguono altre lotte. Quasi tutti rimangono comunque dietro quella porta chiusa, a masticare ipotesi tra una keyword e l'altra, inumiditi dal loro lavoro di scantinato.

Qui si discute di umidità e di molte altre cose.

2 commenti:

  1. Bel post... Racconta migliaia di storie come la tua, come la mia che ho sempre lavorato conmateria impalpabile quale il software. E c'è un anello che ci lega: Io ho prodotto applicazioni e sistemi per consentire a te (e a tanti "freelance" come noi) di pensare un lavoro e un futuro migliore. E come ogni moneta, mentre osservavamo la faccia riguardante ilnostro futuro, ora ci si manifesta l'opposto di quella faccia. Tanto che dopo aver tanto amato il mio lavoro ora lo odio altrettanto.

    Postilla: Non credere che dietro quella porta chiusa ci siano persone uguali a te. Li ho incontrati mille volte e mi sono reso conto che sono icone che nascondono un desolante vuoto culturale, soloni che parlano e ti fanno tacere per non esssere smascherati nella loro desolante vacuità. Persone che vogliono sapere come fai per potertelo sottrarre e beneficiarne... Proprio come fanno col tuo lavoro. Buona fortuna a tutti noi.

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