lunedì 27 giugno 2011

Libera Repubblica

Solo chi ha sempre guardato alla Val Susa con gli occhi bendati può pensare che il movimento No Tav sia unicamente un assembramento di persone e barricate avvinghiato alle montagne per fermare un treno. Una serie di presidi auto-organizzati che si sostengono e sostengono chi si trova a passare, a portare la sua solidarietà, per sei lunghi anni, sono molto più che le basi logistiche di un'opposizione a un'opera detestata dalla popolazione: sono uno spazio liberato, una libera repubblica, così come i No Tav della Val Susa si sono definiti.

E come ogni spazio liberato, è perennemente minacciato, sabotato e, infine, anche stritolato con la forza delle ruspe e dei manganelli. Gassato da una pioggia di lacrimogeni, coi i suoi abitanti – stanziali o meno – costretti a riparare nei boschi.

I No Tav della Val Susa, per impedire l'apertura di un tunnel, hanno squarciato un varco che può inghiottire treno e galleria in un solo boccone. Come i manifestanti accorsi a Genova per dire la loro, dieci anni fa, come le piazze spagnole, come le decine di esperimenti di liberazione che sono in atto in questo momento in Italia, più tutti quelli che ci sono fuori.

Il fil rouge che collega le lotte i nostri nemici lo vedono benissimo. Sta a noi, nel fumo delle cariche, ritrovarlo e continuare a tesserlo.

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