venerdì 8 marzo 2013

Quando le donne fanno la rivoluzione: un'intervista sull'Egitto, sulla repressione e su chi si organizza per affrontarla

 Tutti i grandi cambiamenti storici sono avvenuti per mano di donne e uomini, da sempre. E tuttavia all'interno di quei cambiamenti le donne non devono lottare solo per portare avanti le loro idee, ma anche, spesso, semplicemente per poter essere presenti, per avere un luogo in cui lottare. E nella lotta devono anche combattere un'ulteriore battaglia, quella della memoria, quella che vorrebbe tramandare il loro contributo alla storia solo come contributo di madri o mogli di martiri, per sempre ricoperte dalla cappa del lutto e della celebrazione, che isola, rende mute e invisibili.

Oggi le donne egiziane scendono in piazza per chiarire ancora una volta che non vogliono essere zittite, né dalle torture inflitte loro nelle piazze o nelle caserme, né da un apparato di potere che già cerca di cancellare la memoria della loro presenza attiva nella rivoluzione.

Ho intervistato T., un ragazzo italo-egiziano che, dopo alcuni viaggi di studio, ha al momento deciso di rimanere al Cairo anche per continuare a fare la sua parte nella rivoluzione. Oggi è membro di Operation Anti-Sexual Harassment/Assault (qui la loro pagina Facebook e qui il loro profilo Twitter), un gruppo attivo al Cairo che cerca di fronteggiare la repressione in atto contro le donne. 
 
Com'è nata l'esperienza di Operation Anti-Sexual Harassment/Assault?

Il gruppo è nato dall'esigenza di fronteggiare gli attacchi in piazza, un nucleo di attivisti si è riunito in un'assemblea iniziale, in cui sono state stabilite le esigenze e il tipo di intervento, poi è stato lanciato un gruppo Facebook, tramite il quale chiunque volesse aderire all'iniziativa si può presentare alle assemblee dove si viene istruiti e si provano tattiche e strategie. Lo scopo del gruppo è salvaguardare la presenza naturale delle donne in piazza durante le manifestazioni.


Quanti siete e come si articola al momento questa operazione?
 
Il numero è estremamente variabile cambia da assemblea ad assemblea anche a seconda di quanti casi ci sono stati nei giorni precedenti l'assemblea. Io faccio parte del gruppo di interventi e l'ultima volta in cui sono sceso in piazza eravamo due gruppi di 25 persone circa. Rimane il fatto che i gruppi d'intervento non sono che l'appendice di una operazione più grande fatta di attivisti che magari non scendono in piazza, ma che hanno disegnato le nostre magliette o che ci aiutano a raccogliere fondi. Senza contare quelli incaricati di tranquillizzare e confortare le vittime degli attacchi.  
 
Come siete organizzati durante le manifestazioni e quali sono le azioni che portate avanti al di là di esse?
Le nostre azioni sono sempre dei contro interventi, non facciamo operazioni di polizia interna, quando avvengono degli attacchi ci portiamo al limitare dell'area della folla che sta cercando di molestare/violentare la persona in questione e utilizzando delle tattiche dissuasione e dispersione della folla ci facciamo largo nel gruppo di assalitori fino a recuperare la ragazza che viene poi portata al sicuro in un luogo che è sconosciuto persino a noi del gruppo di intervento, onde evitare infiltrati e rappresaglie. Al di là degli interventi durante le manifestazioni ci sono le assemblee in cui proviamo le manovre di salvataggio e recupero, se così si possono definire, le donne che fanno parte dei gruppi addetti a rassicurare e confortare la vittima e controllare il bisogno di intervento medico vengono preparate in maniera specifica da alcuni attivist*, in stanze separate dalle nostre quindi non so in cosa consista esattamente la loro preparazione.

Avete ricevuto delle minacce e degli attacchi?
 
Non il nostro gruppo fortunatamente, un gruppo parallelo che si occupa dello stesso problema, ma con un altro approccio, è stato identificato seguito e attaccato nel momento assembleale, le donne sono state pesantemente molestate e gli uomini malmenati. Questo chiaramente ci invita alla prudenza. 
 
Pensi/pensate che gli attacchi contro le donne nelle piazze egiziane siano parte di un progetto e pensi che ci siano un'organizzazione e una direzione?

Penso che ormai sia sciocco pensare il contrario, gli attacchi avvengono sempre nelle stesse posizioni geografiche della piazza, sempre con le stesse modalità. Hanno come scopo l' intimidazione, spingono le donne a non partecipare, a partecipare meno o ad avere paura e a non sentirsi tranquille quando partecipano. Certo è opportuno ammettere che il problema è sociale e che gli attacchi hanno successo e sono efficaci perchè aumentanoesponenzialmente il bacino di interesse una volta scaturiti, ogni osservatore o passante può diventare un assalitore. E' chiaro a mio avviso che se da un lato abbiamo delle azioni e delle strategie precise di attacco alle donne che vogliono partecipare alla vita politica della piazza dall'altro abbiamo un evidente problema per cui molti giovani uomini vedono la sessualità come forma di punizione e umiliazione sociale.
 
C'è stata un escalation in questo tipo di attacchi? Come si inseriscono, secondo te, negli eventi del processo rivoluzionario egiziano?
 
Il primo di questi attacchi è stato ai danni di una giornalista straniera, credo americana, il giorno delle dimissioni di Mubarak, giorno in cui la piazza è stata aperta anche ai non militanti, in modo che tutti potessero celebrare la "vittoria" della rivoluzione. Personalmente non ho creduto subito a questo tipo di storie, sia per il modo in cui è stata raccontata sia per l'assenza di qualsiasi forma di molestia nei 18 giorni di occupazione della piazza, c'è stata per un certo periodo di tempo una certa riluttanza ad accettare l'idea che le cose fossero diverse dai 18 giorni. Poi c'è stato l' 8 marzo ( nel 2011), in cui le donne sono state attaccate da gruppi di islamisti, e infine oggi in questi giorni gli attacchi sono sistematici, e l'escalation è evidente.
 
Ho letto (qui) che la violenza sessuale contro le manifestanti era una prassi utilizzata già dal regime di Mubarak, che ora viene semplicemente pagata da un'altra tasca. Sei d'accordo?

 Bisogna tenere presente che io non ho visttuo a lungo l'era Mubarak. Le molestie sessuali sono una bruttissima forma di repressione delle donne che nella società egiziana è presente da anni. Mubarak avendo fallito nel rispondere alle vere esigenze della popolazione è senz'altro responsabile di questo tipo di cambiamento sociale. Quanto all'utilizzo della molestia sessuale come strategia di intimidazione politica, è cosa nota che avvenga tra le polizie di tutto il mondo, e la polizia di Mubarak non faceva certo eccezione. Invece gli attacchi di massa ad una ragazza, che finiscono a volte con lo stupro sono a mio avviso un'altra cosa. Sono modalità che non ho mai visto prima, non penso che gli assalitori siano tutti pagati, forse qualche provocatore, quanto alle armi ( coltelli, tasers, rasoi) che alcuni di essi utilizzano non sono nè costose, nè difficilmente reperibili in Egitto. Senz'altro abbiamo già visto questo tipo di violenza concertata contro le donne già durante il regime militare che ha "retto " il paese fino alle elezioni presidenziali.
 
In questo articolo si sostiene l'esistenza di un tentativo, da parte delle forze attualmente al potere in Egitto, di relegare la rivoluzione ai 18 giorni del gennaio-febbraio 2011, negando, così, l'essenza rivoluzionaria delle proteste successive a quelle date. Pensi che i terribili episodi di violenza del 25 gennaio di quest'anno si inseriscano in questo quadro? Che servano anche per creare agli occhi dell'opinione pubblica un “epoca d'oro” della rivoluzione, contro un presente che è invece solo disordine e sofferenza? La costruzione del mito della rivoluzione egiziana del 2011 (quella che si vuole relegata a quelle giornate del 2011) è già pienamente in corso: che ruolo hanno le donne in questo mito?

La reazione ad ogni rivoluzione in corso è quella di celebrarne la vittoria e dichiararla conclusa, è un modo per fermare il processo rivoluzionario, già i militari dello SCAF definivano "Gloriosa" la rivoluzione e parlandone al passato fallivano nell'interpretarne il significato e la portata sociale. La costruzione del mito della rivoluzione significa cristallizarla e dichiararne adempiute le aspettative. Ovviamente siamo molto lontani dalla conclusione di questo processo rivoluzionario. Le donne in questa rivoluzione vengono cristallizate nel ruolo di madri dei martiri. Nessuno ai piani alti sembra ricordarsi delle molte donne velate, non velate e munaqabat ( con il velo integrale che copre il volto) che hanno manifestato e manifestano tutt'ora il proprio dissenso.
Ho letto (qui) una vostra accusa rivolta ai partiti e ai gruppi rivoluzionari, che sarebbero indifferenti rispetto ai pericoli che corrono i manifestanti e le donne in particolare. Puoi parlarmi dei motivi di questa accusa? 
 
 No, non posso parlare di dichiarazioni fatte da altri. Per quanto mi riguarda la nozione stessa di partito rivoluzionario è un ossimoro. I gruppi rivoluzionari invece si occupano della propria difesa anche tramite iniziative come la nostra. Di certo le opposizioni potrebbero fare di più nei confronti della propria base e anche degli anonimi rivoluzionari che hanno un nome solo dopo essere stati uccisi dalla polizia o dalle milizie e dichiarati martiri.

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