martedì 6 dicembre 2011

Giovani e vecchi

Mia nonna ha 91 anni e campa con la minima. Ovvero, più o meno quanto prendo io con il mio lavoro in pizzeria. Infatti faccio anche altro per tirare su due soldi, ma lei non ha questa possibilità. E' così vecchia che il suo corpo si è fatto piccolissimo, la sua pelle sottile come carta velina, le sue mani tanto incerte che al mattino ha bisogno di aiuto persino per aprire la caffettiera. Quello che lo stato le manda è quello che ha, e non può difendersi né fare altrimenti. Mia madre e mia zia le pagano la badante d'estate, quando in città si sente morire e vuole tornare in campagna, dove ha sempre vissuto.

Per sua fortuna - e anche mia e dei miei cugini - la cosiddetta "generazione sandwich" al momento non è ancora alla canna del gas, e spesso riesce a sostenere un poco sia i vecchi che i giovani. Quando ieri ho sentito mia madre, che è già in pensione, ha detto che è giusto che siano i più vecchi a pagare, perché sono quelli che hanno scialacquato, che sono ingrassati alla tavola dello stato sociale senza pensare alle conseguenze.

Come ha raccontato Loredana Lipperini nel suo Non è un paese per vecchie, i pensionati italiani sono i più poveri d'Europa. Eppure tagliare sulla loro pelle sembra giusto, sembra necessario, anche se è tanto triste. Largo ai giovani, si dice, sono loro che stanno pagando la crisi. In tempi così duri, ci vogliono provvedimenti altrettanto netti, che spazzino via il vecchiume e facciano sopravvivere quello che merita. L'importante è prendere le scelte più difficili con la tenerezza nel cuore, e un po' controvoglia.

Quello che merita, sono i giovani raccontati dall'infotainment in prima serata, quelle brave ragazze e quei bravi ragazzi che hanno studiato tanto e poi vanno all'estero per cambiare il mondo con la loro incorrotta creatività. Piacciono tanto questi giovani, sono un brand favoloso, il jolly che fa quadrare la scala e che permette di sbaragliare tutti gli avversari. Basta tirarli fuori, tirare fuori quel sogno di rinascita che rappresentano, che di colpo diventiamo pronti a tutto. La loro voglia di fare emenderà i vecchi dai peccati della loro vita confortevole, all'ombra dell'articolo 18, della sanità e della scuola pubblica. Sacrifichiamoci per loro, stringiamo la cinghia affinché possano andare com'è loro natura a combattere sul fronte duro e giusto del libero mercato, dove la meritocrazia premierà i migliori. Mica come ai vecchi tempi, quando i sindacati ti paravano il culo e andavi in pensione ancora giovane e in gamba. Che mollaccioni che eravamo, che squallidi viveur decadenti, con tutte le nostre tutele e il nostro denaro facile. I giovani invece, loro sono limpidi, belli, pieni di nuove energie. Loro sono il futuro. E' nelle loro mani che andrà il mondo nuovo, che sarà più povero magari, però più pulito e più autentico, come loro.

2 commenti:

  1. Mi viene in mente una cosa banale ma da ripetere come un mantra: le lotte di retroguardia non servono a un cazzo.

    In questi anni abbiamo sentire ripetere – e a volte, nostro malgrado, sentirci d'accordo – “basta con la gerontocrazia di questa classe dirigente” o "basta con la mignottocrazia” o "basta con la videocrazia di Berlusconi”.

    Si ok.
    Ma ti va bene se poi al posto di Berlusconi ti ritrovi Monti, e a lottare contro lo stereotipo della zoccola al/col potere ti ritrovi quello della brava mamma di famiglia e ministra sensibile (vedi Lipperini), e al posto dei gerontocrati ti ritrovi il giovine Renzi?
    No.

    C_

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  2. Ciao Xho! Guarda non mi parlare di Renzi che solo a sentirlo nominare la mia mente inizia a produrre fantasie pulp.

    Sono perfettamente d'accordo con te sull'inutilità delle lotte di retroguardia.
    Quello di cui tu parli deriva secondo me dall'abitudine che abbiamo - mannaggia ai semiotici - di osservare la politica come uno spettacolo, come un teatro in cui giudicare le rappresentazioni del potere. E allora Fioroni che piange ci pare un passo avanti, ci pare abbia un certo spessore, una certa profondità. Ci sembra un film fatto meglio. Nel frattempo, quello che il potere concretamente fa passa in secondo piano. Il discorso è lungo e in un momento di frantumazione sociale e di solitudine com'è il nostro la responsabilità è anche di un certo modo di fare divismo giornalistico e di fare gossip politico tout court, per pigrizia, perché non fa arrabbiare nessuno, perché é indignazione ad azione rapida che fa audience un po' da tutte le parti. E noi, che non abbiamo gli strumenti per capire le conseguenze collettive di quello che accade, alziamo le spalle e scegliamo il film che ci fa meno schifo.

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