domenica 4 dicembre 2011

Incubi e deliri (precari)

Quand'ero ragazzina pensavo che l'insonnia fosse un problema dei vecchi. A quindici anni mi innamorai per la prima volta e persi il sonno per un paio di settimane, ma non ricordo di aver avuto ancora problemi simili per periodi altrettanto lunghi. A volte facevo nottata a leggere oppure a straziarmi per qualche turbamento emotivo, ma si trattava di episodi che si risolvevano sempre, la notte successiva, con una gran dormita.

Ora invece oscillo tra periodi di sonno piuttosto regolare ed altri in cui l'insonnia viene a tirarmi le coperte, in compagnia dei più odiosi dei suoi parenti: gli incubi. Gli incubi che si accompagnano all'insonnia sono di un genere che si muove a sciami. Si susseguono a volte per diverse notti consecutive e lasciano la mente spossata e i polmoni esausti, strizzati come spugne, dopo lunghe sessioni di tempo incosciente trascorse a inseguirli.

Nell'ultimo incubo che ricordo ho sognato il mio letto. Per raggiungerlo dovevo salire una lunghissima scala a pioli il cui tratto finale era stato costruito legando insieme tubi e pezzi di metallo, e che giungeva fino al cornicione di un palazzo. Sopra questo cornicione, largo poco più di un metro, stava appunto il mio letto, ed era lì che vivevo. Non era una mia scelta, ovviamente, ma anzi qualcuno o qualcosa mi avevano costretta lì, a dormire nella vertigine e con la costante paura di precipitare. Come se non bastasse, il cornicione - e con esso il mio letto - iniziava a staccarsi dalla parete del palazzo, a inclinarsi e a franare. Io cercavo di salvarmi, ma la scala mi terrorizzava quasi quanto la caduta ed ero certa che avrebbe definitivamente ceduto durante la mia fuga.

Nonostante il mio vero letto si trovi al sicuro tra le quattro mura e il solido pavimento della mia stanza bolognese, non posso fare a meno di pensare che questo sogno rispecchi piuttosto bene la realtà. L'unico errore del mio inconscio è stato quello di immaginare che su quel cornicione vivessi da sola.

Eccoci, noi stormo di precari terrorizzati dal vuoto, costretti a vivere appollaiati come uccelli senza averne le ali. Incapaci, spesso, di dormire davvero, sporgendoci da sotto le lenzuola controlliamo compulsivamente il ciglio della nostra postazione. Il precario-piccione è una nuova figura di insonne, del tutto particolare: non sa volare ma dimora ugualmente nei luoghi più impervi, ad altezze vertiginose. Tuttavia la sensazione che prova nel raggiungere i suoi giacigli nei picchi non è quella dell'innalzamento, ma quella della profondità, dello sbalzo terribile che ti trascina giù, con fatale puntualità. Al piano terra, sussurrano voci da dentro i palazzi, da qualche tempo non c'è più posto proprio per nessuno.


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