Ho pensato tanto a te oggi, amico mio. Oggi c'è lo sciopero dei tuoi vecchi colleghi, di quell'epoca in cui eri così clandestino che per lavorare avevi dovuto fingerti un altro.
A Piacenza quelli che facevano come te sono finiti assunti coi documenti veri, in regola. Niente CIE, né giudici, né rimpatri. Quella loro bugia necessaria cancellata dalla memoria vendicativa dei datori di lavoro e delle forze dell'ordine, e conservata solo tra le memorie utili, per ricordare per quali strade pericolose si cammina quando si è costretti.
Se fossi stato anche tu tra di loro, la tua vita sarebbe stata diversa. Non avresti dovuto scappare, con il motorino rotto e una gamba ferita dopo un incidente. Non avresti dovuto pregare per tenerti il più misero dei posti di lavoro. Se sei solo, i guai iniziano a bisbigliarti nelle orecchie ed è facile confondere quel mormorio incessante con quello delle persone pie. Alla fine hai cominciato a mormorare tutto il giorno anche tu. E poi c'è stato il sindacato. Quello che hai scelto, nonostante tutta la sua storia e le sue grandi bandiere rosse, era certamente quello sbagliato. E' stato quel sindacato a darti la prova più convincente che tutto è nelle mani di Dio.
Forse, se tu fossi stato tra quei lavoratori, ti saresti sposato. E magari a quest'ora avresti anche i bambini che desideravi. Invece sei da qualche parte a studiare da prete e a spendere i tuoi ultimi capelli neri in cambio di un disegno celeste in fondo al quale, in un luogo imperscrutabile, dovrebbe finalmente trovarsi la giustizia.
Quando ci siamo conosciuti eri il più ottimista degli ottimisti, mentre non è ottimismo quello che hai ora. E' solo l'ultimo giro della speranza prima che la giostra chiuda. E' l'ultima possibilità degli uomini e delle donne soli, che non hanno attorno altre braccia e altre gambe che non siano le loro. Tante braccia possono fermare un camion, e poi un altro e un altro ancora. Possono fermarli anche tutti. Possono fare qualunque cosa.
venerdì 22 marzo 2013
venerdì 8 marzo 2013
Quando le donne fanno la rivoluzione: un'intervista sull'Egitto, sulla repressione e su chi si organizza per affrontarla
Tutti i grandi cambiamenti storici sono avvenuti per mano di donne e uomini, da sempre. E tuttavia all'interno di quei cambiamenti le donne non devono lottare solo per portare avanti le loro idee, ma anche, spesso, semplicemente per poter essere presenti, per avere un luogo in cui lottare. E nella lotta devono anche combattere un'ulteriore battaglia, quella della memoria, quella che vorrebbe tramandare il loro contributo alla storia solo come contributo di madri o mogli di martiri, per sempre ricoperte dalla cappa del lutto e della celebrazione, che isola, rende mute e invisibili.
Oggi le donne egiziane scendono in piazza per chiarire ancora una volta che non vogliono essere zittite, né dalle torture inflitte loro nelle piazze o nelle caserme, né da un apparato di potere che già cerca di cancellare la memoria della loro presenza attiva nella rivoluzione.
Ho intervistato T., un ragazzo italo-egiziano che, dopo alcuni viaggi di studio, ha al momento deciso di rimanere al Cairo anche per continuare a fare la sua parte nella rivoluzione. Oggi è membro di Operation Anti-Sexual Harassment/Assault (qui la loro pagina Facebook e qui il loro profilo Twitter), un gruppo attivo al Cairo che cerca di fronteggiare la repressione in atto contro le donne.
Com'è nata l'esperienza di Operation Anti-Sexual Harassment/Assault?
Il gruppo è nato dall'esigenza di fronteggiare gli attacchi in piazza, un nucleo di attivisti si è riunito in un'assemblea iniziale, in cui sono state stabilite le esigenze e il tipo di intervento, poi è stato lanciato un gruppo Facebook, tramite il quale chiunque volesse aderire all'iniziativa si può presentare alle assemblee dove si viene istruiti e si provano tattiche e strategie. Lo scopo del gruppo è salvaguardare la presenza naturale delle donne in piazza durante le manifestazioni.
Quanti siete e come si articola al momento questa operazione?
Bisogna tenere presente che io non ho visttuo a lungo l'era Mubarak. Le molestie sessuali sono una bruttissima forma di repressione delle donne che nella società egiziana è presente da anni. Mubarak avendo fallito nel rispondere alle vere esigenze della popolazione è senz'altro responsabile di questo tipo di cambiamento sociale. Quanto all'utilizzo della molestia sessuale come strategia di intimidazione politica, è cosa nota che avvenga tra le polizie di tutto il mondo, e la polizia di Mubarak non faceva certo eccezione. Invece gli attacchi di massa ad una ragazza, che finiscono a volte con lo stupro sono a mio avviso un'altra cosa. Sono modalità che non ho mai visto prima, non penso che gli assalitori siano tutti pagati, forse qualche provocatore, quanto alle armi ( coltelli, tasers, rasoi) che alcuni di essi utilizzano non sono nè costose, nè difficilmente reperibili in Egitto. Senz'altro abbiamo già visto questo tipo di violenza concertata contro le donne già durante il regime militare che ha "retto " il paese fino alle elezioni presidenziali.
La reazione ad ogni rivoluzione in corso è quella di celebrarne la vittoria e dichiararla conclusa, è un modo per fermare il processo rivoluzionario, già i militari dello SCAF definivano "Gloriosa" la rivoluzione e parlandone al passato fallivano nell'interpretarne il significato e la portata sociale. La costruzione del mito della rivoluzione significa cristallizarla e dichiararne adempiute le aspettative. Ovviamente siamo molto lontani dalla conclusione di questo processo rivoluzionario. Le donne in questa rivoluzione vengono cristallizate nel ruolo di madri dei martiri. Nessuno ai piani alti sembra ricordarsi delle molte donne velate, non velate e munaqabat ( con il velo integrale che copre il volto) che hanno manifestato e manifestano tutt'ora il proprio dissenso.
Oggi le donne egiziane scendono in piazza per chiarire ancora una volta che non vogliono essere zittite, né dalle torture inflitte loro nelle piazze o nelle caserme, né da un apparato di potere che già cerca di cancellare la memoria della loro presenza attiva nella rivoluzione.
Ho intervistato T., un ragazzo italo-egiziano che, dopo alcuni viaggi di studio, ha al momento deciso di rimanere al Cairo anche per continuare a fare la sua parte nella rivoluzione. Oggi è membro di Operation Anti-Sexual Harassment/Assault (qui la loro pagina Facebook e qui il loro profilo Twitter), un gruppo attivo al Cairo che cerca di fronteggiare la repressione in atto contro le donne.
Com'è nata l'esperienza di Operation Anti-Sexual Harassment/Assault?
Il gruppo è nato dall'esigenza di fronteggiare gli attacchi in piazza, un nucleo di attivisti si è riunito in un'assemblea iniziale, in cui sono state stabilite le esigenze e il tipo di intervento, poi è stato lanciato un gruppo Facebook, tramite il quale chiunque volesse aderire all'iniziativa si può presentare alle assemblee dove si viene istruiti e si provano tattiche e strategie. Lo scopo del gruppo è salvaguardare la presenza naturale delle donne in piazza durante le manifestazioni.
Quanti siete e come si articola al momento questa operazione?
Il numero è estremamente
variabile cambia da assemblea ad assemblea anche a seconda di quanti
casi ci sono stati nei giorni precedenti l'assemblea. Io faccio parte
del gruppo di interventi e l'ultima volta in cui sono sceso in piazza
eravamo due gruppi di 25 persone circa. Rimane il fatto che i gruppi
d'intervento non sono che l'appendice di una operazione più grande fatta
di attivisti che magari non scendono in piazza, ma che hanno disegnato
le nostre magliette o che ci aiutano a raccogliere fondi. Senza contare
quelli incaricati di tranquillizzare e confortare le vittime degli
attacchi.
Come siete organizzati durante le
manifestazioni e quali sono le azioni che portate avanti al di là di
esse?
Le nostre azioni sono
sempre dei contro interventi, non facciamo operazioni di polizia
interna, quando avvengono degli attacchi ci portiamo al limitare
dell'area della folla che sta cercando di molestare/violentare la
persona in questione e utilizzando delle tattiche dissuasione e
dispersione della folla ci facciamo largo nel gruppo di assalitori fino a
recuperare la ragazza che viene poi portata al sicuro in un luogo che è
sconosciuto persino a noi del gruppo di intervento, onde evitare
infiltrati e rappresaglie. Al di là degli interventi durante le
manifestazioni ci sono le assemblee in cui proviamo le manovre di
salvataggio e recupero, se così si possono definire, le donne che fanno
parte dei gruppi addetti a rassicurare e confortare la vittima e
controllare il bisogno di intervento medico vengono preparate in maniera
specifica da alcuni attivist*, in stanze separate dalle nostre quindi
non so in cosa consista esattamente la loro preparazione.
Avete ricevuto delle minacce e degli attacchi?
Avete ricevuto delle minacce e degli attacchi?
Non il nostro gruppo
fortunatamente, un gruppo parallelo che si occupa dello stesso problema,
ma con un altro approccio, è stato identificato seguito e attaccato nel
momento assembleale, le donne sono state pesantemente molestate e gli
uomini malmenati. Questo chiaramente ci invita alla prudenza.
Pensi/pensate che gli attacchi contro
le donne nelle piazze egiziane siano parte di un progetto e pensi che
ci siano un'organizzazione e una direzione?
Penso che ormai sia sciocco
pensare il contrario, gli attacchi avvengono sempre nelle stesse
posizioni geografiche della piazza, sempre con le stesse modalità. Hanno
come scopo l' intimidazione, spingono le donne a non partecipare, a
partecipare meno o ad avere paura e a non sentirsi tranquille quando
partecipano. Certo è opportuno ammettere che il problema è sociale e che
gli attacchi hanno successo e sono efficaci perchè
aumentanoesponenzialmente il bacino di interesse una volta scaturiti,
ogni osservatore o passante può diventare un assalitore. E' chiaro a mio
avviso che se da un lato abbiamo delle azioni e delle strategie precise
di attacco alle donne che vogliono partecipare alla vita politica della
piazza dall'altro abbiamo un evidente problema per cui molti giovani
uomini vedono la sessualità come forma di punizione e umiliazione
sociale.
C'è stata un escalation in questo
tipo di attacchi? Come si inseriscono, secondo te, negli eventi del
processo rivoluzionario egiziano?
Il
primo di questi attacchi è stato ai danni di una giornalista straniera,
credo americana, il giorno delle dimissioni di Mubarak, giorno in cui la
piazza è stata aperta anche ai non militanti, in modo che tutti
potessero celebrare la "vittoria" della rivoluzione. Personalmente non
ho creduto subito a questo tipo di storie, sia per il modo in cui è
stata raccontata sia per l'assenza di qualsiasi forma di molestia nei 18
giorni di occupazione della piazza, c'è stata per un certo periodo di
tempo una certa riluttanza ad accettare l'idea che le cose fossero
diverse dai 18 giorni. Poi c'è stato l' 8 marzo ( nel 2011), in cui le
donne sono state attaccate da gruppi di islamisti, e infine oggi in
questi giorni gli attacchi sono sistematici, e l'escalation è evidente.
Ho letto
(qui)
che la violenza sessuale contro le manifestanti era una prassi
utilizzata già dal regime di Mubarak, che ora viene semplicemente
pagata da un'altra tasca. Sei d'accordo?
Bisogna tenere presente che io non ho visttuo a lungo l'era Mubarak. Le molestie sessuali sono una bruttissima forma di repressione delle donne che nella società egiziana è presente da anni. Mubarak avendo fallito nel rispondere alle vere esigenze della popolazione è senz'altro responsabile di questo tipo di cambiamento sociale. Quanto all'utilizzo della molestia sessuale come strategia di intimidazione politica, è cosa nota che avvenga tra le polizie di tutto il mondo, e la polizia di Mubarak non faceva certo eccezione. Invece gli attacchi di massa ad una ragazza, che finiscono a volte con lo stupro sono a mio avviso un'altra cosa. Sono modalità che non ho mai visto prima, non penso che gli assalitori siano tutti pagati, forse qualche provocatore, quanto alle armi ( coltelli, tasers, rasoi) che alcuni di essi utilizzano non sono nè costose, nè difficilmente reperibili in Egitto. Senz'altro abbiamo già visto questo tipo di violenza concertata contro le donne già durante il regime militare che ha "retto " il paese fino alle elezioni presidenziali.
In questo articolo
si sostiene l'esistenza di un tentativo, da parte delle forze
attualmente al potere in Egitto, di relegare la rivoluzione ai 18
giorni del gennaio-febbraio 2011, negando, così, l'essenza
rivoluzionaria delle proteste successive a quelle date. Pensi che i
terribili episodi di violenza del 25 gennaio di quest'anno si
inseriscano in questo quadro? Che servano anche per creare agli occhi
dell'opinione pubblica un “epoca d'oro” della rivoluzione, contro
un presente che è invece solo disordine e sofferenza? La costruzione
del mito della rivoluzione egiziana del 2011 (quella che si vuole
relegata a quelle giornate del 2011) è già pienamente in corso: che
ruolo hanno le donne in questo mito?
La reazione ad ogni rivoluzione in corso è quella di celebrarne la vittoria e dichiararla conclusa, è un modo per fermare il processo rivoluzionario, già i militari dello SCAF definivano "Gloriosa" la rivoluzione e parlandone al passato fallivano nell'interpretarne il significato e la portata sociale. La costruzione del mito della rivoluzione significa cristallizarla e dichiararne adempiute le aspettative. Ovviamente siamo molto lontani dalla conclusione di questo processo rivoluzionario. Le donne in questa rivoluzione vengono cristallizate nel ruolo di madri dei martiri. Nessuno ai piani alti sembra ricordarsi delle molte donne velate, non velate e munaqabat ( con il velo integrale che copre il volto) che hanno manifestato e manifestano tutt'ora il proprio dissenso.
Ho letto (qui)
una vostra accusa rivolta ai partiti e ai gruppi rivoluzionari, che
sarebbero indifferenti rispetto ai pericoli che corrono i
manifestanti e le donne in particolare. Puoi parlarmi dei motivi di
questa accusa?
No, non posso parlare di dichiarazioni fatte da altri. Per
quanto mi riguarda la nozione stessa di partito rivoluzionario è un
ossimoro. I gruppi rivoluzionari invece si occupano della propria difesa
anche tramite iniziative come la nostra. Di certo le opposizioni
potrebbero fare di più nei confronti della propria base e anche degli
anonimi rivoluzionari che hanno un nome solo dopo essere stati uccisi
dalla polizia o dalle milizie e dichiarati martiri.
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