mercoledì 16 gennaio 2013

L'apprendista

La neve è una di quelle cose che fanno la differenza. La differenza tra chi, pur lavoratore di braccia, non è obbligato a stare all'esterno sotto le intemperie, e chi invece deve continuare ad andare fuori comunque, anche quando la strada diventa molle e si ricopre di schiuma, come se qualcuno avesse strizzato dal cielo una spugna imbevuta di detersivo.

Il carpentiere è un lavoro dignitoso, e infatti nessun carpentiere lavora sotto la neve. I fattorini e i camionisti, quelli guidano al riparo, e possono parcheggiare accanto a un portico, in modo da passare meno tempo possibile con il viso esposto alle intemperie.

I lavoratori delle cucine, poi, potrebbero persino non sapere che nevica. E' sempre estate vicino alla stufa e davanti alla bocca del forno. Un'estate torrida, umida di vapori di glutine e graffiante di spezie, ma pur sempre estate. E il tuo contratto del resto dice che tu sei uno di loro. Un apprendista, certo, uno che sta imparando e che per questo viene pagato ben poco, ma uno di loro. Ai lavoratori delle cucine non servono la giacca imbottita, il motorino, il cappello di lana, i guanti impermeabili. Potrebbero scendere dall'auto in sandali e maglietta, se lo volessero. Dovrebbero solo camminare fino alla porta sul retro, sarebbe quello l'unica parentesi di inverno che incontrerebbero.

No, quest'anno la neve non ti tocca, pensi. Il tuo posto è ora accanto al cuoco, a curvare la schiena sui banchi e sui taglieri, in compagnia delle verdure, dei sughi, dei salumi e dei formaggi, nel mezzo del loro calore. Il capo questo non lo ha ancora capito davvero, e allora tanto vale forzare un po' la mano. Oggi nevica, e al lavoro ci vai in autobus, come tutti i lavoratori che hanno il diritto al riparo.

Ma poi in cucina il telefono inizia a squillare, più battente della neve bagnata che scende fuori. E il cibo si accumula vicino alla porta, mentre le padelle non vedono l'ora di sgravare il loro carico e di darlo alle pance affamate. Nessuno è disposto ad aspettare il suo turno, neanche quando fuori precipita una pioggia marcia e gelata che sembra latte cagliato. Il capo urla e ti manda affanculo. Ti ordina di andare fuori, a piedi, con le tue scarpe da ginnastica e il maglione leggero. Cammini veloce, a passi piccoli, come se avessi una carta gioco infilata in mezzo alle cosce. La barba ti cresce sulle guance come se fosse passato un giorno intero.


giovedì 10 gennaio 2013

Il buon selvaggio. Di sessismo, pittura ed elezioni

"Il desiderio di instaurare un dialogo con l'altro sesso va inquadrato anche nel gusto più generale per il primitivo, l'incontaminato, gusto che si andava sviluppando sulla scia dei racconti di viaggi, di esploratori e missionari che contribuirono a creare il mito del buon selvaggio. Nei paesi occidentali, nei salotti borghesi, la donna è, per certi aspetti, l'equivalente del buon selvaggio." (da Storia dell'idea femminista in Italia, G. Conti Odorisio)

All'epoca in cui Pellizza da Volpedo dipinse Il Quarto Stato (1901), era in corso in Italia la stesura della prima legge per porre delle limitazioni al lavoro femminile. Le donne nell'industria italiana erano infatti così tante e lavoravano così duro che si temeva una "degenerazione della razza", poiché i bambini nati da operaie erano spesso malformati o malati. Ma il pittore non le rappresentò e preferì optare per la raffigurazione di una madre e di mostrarla mentre incontra la testa del corteo in diagonale, come se fosse arrivata in quel momento, e mentre rivolge lo sguardo all'uomo, che invece avanza con pacifica fermezza verso il futuro. La posizione del Partito Socialista all'epoca era favorevole alle leggi di tutela per le donne lavoratrici, leggi che in realtà, come denunciò Anna Maria Mozzoni, più che tutelare le donne sembravano tutelare la famiglia e la casa, costringendole ad abbandonare i loro posti di lavoro per ritornare dove erano più deboli, cioè nel chiuso delle mura domestiche. Il lavoro, gli scioperi, la lotta operaia erano cose da uomini. Il Quarto Stato sembra abbracciare in pieno questa visione, che del resto era sostenuta dalla stampa socialista che Pellizza Da Volpedo seguiva.


L'uso strumentale de Il Quarto Stato, come si può ben vedere qui sopra, non nasce certo oggi con la lista di Ingroia. Eppure è significativo che proprio quella lista lo utilizzi.

Oggi la questione della discriminazione delle donne viene strumentalizzata forse come mai prima d'ora, da tutte le forze politiche che vanno da Rivoluzione Civile alla destra para-fascista, passando per il Movimento 5 Stelle, per SEL, per il PD e via dicendo. Una questione che viene risolta da quelle che si autodefiniscono forze "di sinistra" con un'insultante spartizione fifty fifty delle nomine e persino - l'ho visto coi miei occhi - del diritto di parola nelle assemblee. La discriminazione diventa un fatto che si può risolvere formalmente, aggiungendo una regoletta alla politica, la regoletta che da sempre i genitori impongono ai figli che condividono i giocattoli: fate un po' per uno. Il paragone con il gioco, un gioco in cui si vincono bei premi, è l'unico che mi viene per descrivere un atteggiamento del genere nei confronti della discriminazione, atteggiamento che però emerge nei confronti di qualunque questione, dal lavoro al rischio per nulla remoto del tracollo economico.

Nei "salotti" di questa "sinistra" i racconti di viaggio sono quelli che parlano delle luminose socialdemocrazie scandinave, luoghi in cui regnano l'onestà e i diritti, e in cui tutto è lineare, trasparente, privo delle ombre che caratterizzano la nostra politica tramacciona. E il buon selvaggio, ancora una volta, proprio come nel XIX secolo, sono le donne. Loro sono innocenza, rettitudine, semplicità. Sono voce, viso, dolci sorrisi, occhi che guardano al domani con autentica limpidezza femminile. Sono belle parole, buoni propositi, certamente idee sincere, di cuore, espresse da chi è ancora una creatura incontaminata.

Dopo due milioni di anni di storia umana, le donne vengono presentate come "il nuovo". E questa assurdità non appare per quello che è - almeno non a tutt* - perché nella storia le donne non ci sono. Seduti sulla trave dell'Empire State Building, in una famosissima fotografia, ci sono degli uomini. E nel cinema sono file interminabili di uomini, piegati nella polvere del West, a costruire la ferrovia. Le donne sono quelle che portano da bere. Le braccia che hanno costruito il mondo sono braccia maschili*.


Ma la sinistra in bancarotta non ha bisogno di verità storiche. Quello che le serve è un lavoro di branding, che renda vergine e pulita la sua immagine. E allora ecco che cosa partoriscono quelle menti vaghe: candidiamo tante donne quanti uomini. Anzi, di più! Diamo loro la precedenza, perché con le loro morbide labbra naturali da cui escono solo parole di pace ci facciano sembrare avanzati e giusti. Eccolo il segreto per sfangare alle elezioni più incerte degli ultimi vent'anni: la femmina.

*In realtà negli spopolati stati del West, in cui c'era bisogno di tutte le forze per portare avanti la colonizzazione e non si poteva escludere nessuno, le donne lavoravano e costruivano eccome, e sapevano anche imbracciare il fucile, il primo strumento, ancora prima della zappa, con il quale si cominciava a lavorare le terre dei nativi. Era tanto importante il ruolo delle donne, all'epoca che furono proprio alcuni stati nordamericani della frontiera, seguiti da quelli della colonizzazione inglese nel Pacifico (Nuova Zelanda e Australia) a riconoscere per primi il diritto di voto alla popolazione femminile.