giovedì 17 febbraio 2011

Il Perché di questo blog e il Come del potere

Cos’è un Cip? No, non si parla di scoiattoli parlanti, ma di quello che un tempo, con una terminologia assai più ottimistica, veniva chiamato Ufficio di Collocamento. Oggi, in omaggio a tempi nebbiosi come i nostri, il pragmatico ufficio è diventato un Centro capace di evocare immagini di astri e pianeti, e il collocamento – ovvero l’azione del collocare, concetto di per sé già piuttosto disumano – è stato sostituito dall’Impiego, una parola con molte meno responsabilità. Il moderno Centro per l’Impiego, la porta personale dello Stato in quella strana cittadella che è il mondo del lavoro, non promette di collocarti, termine che porta alla mente idee trapassate come l’obiettivo della piena occupazione, ma di agire per il tuo impiego, ovvero a favore di esso. Loro ti danno un aiutino.

Consapevole di tali certezze etimologiche, decido di approfittare del servizio che il Cip della mia città d’adozione offre ai neolaureati: si tratta di un ciclo di laboratori su tematiche come la redazione del curriculum, il colloquio o la comunicazione aziendale. A proposito del primo, traumatico, laboratorio – quello sul curriculum appunto – scriverò in seguito. Ho deciso di aprire questo blog non per sfogare le mie lagnanze, ma per testimoniare, da una parte, delle pratiche di potere che si attivano quando qualcuno bussa alle porte della cittadella del lavoro e, dall’altra, delle resistenze che l’abbattersi di quelle pratiche, loro malgrado, fa emergere. L’esperienza di ieri rappresenta un ottimo esempio di ciò che intendo.

Foucault sosteneva che il potere, per esistere e perpetuarsi, ha bisogno di produrre continuamente i suoi “effetti di verità”, che a loro volta lo riproducono. Il potere, cioè, racconta la propria verità, in modo fluido e ininterrotto, e obbliga tutti noi, se vogliamo afferrare un lembo di potere, ad assumerla e ripeterla per nostro conto. Se riesce in quest’impresa non lo deve tanto ai grandi organismi dove, immaginiamo, esso si coagula, ma ai piccoli e piccolissimi capillari di cui è innervata la società. E’ a questi capillari, continua Foucault, che deve andare la nostra attenzione, poiché sono loro il vero braccio attraverso cui il risultato dei rapporti di forza all’interno di un dato contesto diventa reale e tangibile.

Al Cip siamo una quindicina, tutte donne con meno di trent’anni a parte un disoccupato quarantenne che ha l’aria di essere lì per interesse antropologico – o forse, più banalmente, per noia. Rilevo questo dato mentre sento ancora ronzare nelle orecchie il boato gioioso e combattivo della manifestazione del 13 di febbraio. Percorro con lo sguardo il perimetro del tavolo attorno a cui siamo sedute, trovo alcune facce note e altre di cui non so nulla. Una felpa, una sciarpa indiana, un groviglio di ricci rosso fuoco.

L’insegnante si presenta, è una donna di poco più vecchia di noi, lavora per un’agenzia di selezione e promette di rivelarci tutto ciò che c’è da sapere per la buona riuscita di un colloquio. Ci spiega che, essendo noi carenti quanto a competenze tecniche ed esperienze, ciò su cui dobbiamo investire per fare breccia nel cuore degli innumerevoli responsabili delle risorse umane che ci troveremo davanti è il nostro “fascino”. Mi domando se la stessa affermazione, pronunciata al cospetto di una platea di soli maschi, sarebbe sembrata altrettanto giustificabile e realistica. Fatto sta che nessuna delle ragazze presenti sembra abbozzare una reazione, a parte una: lei abbassa il viso lungo una diagonale meditabonda, chiude gli occhi e sorride con uno strano sarcasmo. Non appena l’insegnante domanda se qualcuna, per rompere il ghiaccio, vuole raccontare le proprie esperienze nei colloqui, si fa avanti. Ha ventotto anni, e le è capitato sia di subire colloqui sia di farli. Nonostante le numerose esperienze, i tirocini e gli stage, a quattro anni dalla laurea non ha ancora un lavoro stabile, ed ha quindi deciso di venire al Cip a farsi dare qualche ulteriore consiglio. Mentre pronuncia queste parole, che ho ascoltato solo pochi giorni fa uscire tremanti dalla gola di donne più giovani, la sua voce è fioca ma ferma, e il suo volto esprime una saggezza triste e buona, che il trucco approfondisce con un’ombra di teatralità.

L’insegnante, tenendo le mani morbidamente allacciate all’altezza del petto, invita le altre a portare la loro testimonianza, e una ragazza robusta con i capelli screziati di arancione inizia a parlare. “Una volta a un colloquio mi hanno chiesto se avessi mai pensato di essere posseduta da uno spirito maligno”, dice, suscitando l’incredulità e le risate di tutte. Racconta una serie di esperienze per lo più spiacevoli, spesso accomunate dal fatto che la sua laurea in biotecnologie rappresentasse una fonte di imbarazzo per i selezionatori. Un’altra ragazza, memore del precedente laboratorio (quello incentrato sul curriculum), le suggerisce di non menzionare il suo titolo di studio quando l’offerta a cui sta rispondendo ne richiede uno inferiore. Dalla mia destra sento provenire una voce con un forte accento slavo: “Togliere la laurea??, dice, evidentemente scandalizzata.

Il laboratorio prosegue, con la sua martellante coerenza aziendalista. Il rapporto di lavoro è a tutti gli effetti un rapporto di vendita, e il colloquio ha la stessa funzione della pubblicità. Bisogna sfruttare il poco tempo a disposizione per fare la miglior impressione possibile e scavalcare, con il fascino e l’astuzia, chi magari avrebbe sulla carta più competenze di noi. Nella realtà che il Cip sbroglia davanti ai nostri occhi, siamo individui soli di fronte alla naturale competizione per il lavoro, attori di un mondo in cui vigono, nella più assoluta imperturbabilità, le leggi del darwinismo sociale. Lo Stato, la nostra pericolante Repubblica, ci istruisce alla verità delle aziende, del precariato rampante, dell’auto-imprenditorialità che assolve gli imprenditori veri.

La ragazza dell’est ormai ridacchia platealmente, mentre la giovane donna dall’aria saggia e ombrosa continua a sorridere a se stessa, come se trovasse nelle parole della selezionatrice un’ironica familiarità. La osservo rapita, intrigata dal desiderio di indovinare i suoi pensieri. Trovo meraviglioso il modo in cui solleva il mento a sostenere le espressioni, un modo placido eppure vibrante, carico di bisogni imponderabili, tanto lontano da quella formalità easy e spigliata, modellata su una tempistica da sit-com, che gli insegnanti del Cip incarnano. Il suo fascino divarica enormi crepe nell’intonaco della verità, perciò la cittadella l’ha gettato fuori dalle mura ogni volta che se l’è ritrovato davanti. Il mondo del lavoro ha bisogno di un fascino diverso, che consoli padroni e clienti e che sia il calco smagliante di rapporti di forza sempre ben delimitati.

Si apre un nuovo capitolo del laboratorio, la fatidica domanda “descrivi i tuoi pregi e i tuoi difetti”. L’insegnante chiede a una ragazza dall’aria scarmigliata quale sarebbe la sua risposta. A una domanda del genere, dice lei infastidita, non saprei rispondere. L’insegnante insiste, ma la ragazza rimane ferma, sempre più arrabbiata. La giovane donna saggia interviene, dice che ogni volta che s’è sentita porre la questione ha risposto di essere una persona sensibile, e che si tratta di un difetto e di un pregio allo stesso tempo. “Il pregio”, dice, “è che la sensibilità mi rende intuitiva”. Io penso immediatamente a ciò che scriveva Elena Gianini Belotti, una delle poche citazioni che riesco a ripetere a memoria: “l’intuito è una qualità difensiva tipica degli oppressi”.

Dopo pochi minuti l’insegnante propone una breve pausa, io e la ragazza dell’est ne approfittiamo per andarcene. Non mi sento per nulla abbattuta, ma anzi sono fiduciosa, orgogliosa delle mie simili. Quanta verità ci vorrà per ammansirle e spegnerle? Non so, forse poca, forse molta. Forse riusciremo prima a farla a pezzi.

4 commenti:

  1. A proposito dei colloqui e della narrativa intossicante che aleggia sul tema... secondo alcuni studiosi di psicologia comportamentale, l'unica domanda assennata che un esaminatore può fare al candidato è: "cosa conosci della nostra azienda?".

    Tutta quella pletora di domande attitudinali, infatti, non darà mai elementi sufficienti ad un esaminatore per capire se il candidato è adatto oppure no... e ho come l'impressione che gli stessi esaminatori lo sappiano benissimo.

    Perché le fanno, allora? Evidentemente, proprio per rimarcare, a quel livello "micro", le dinamiche di potere di cui parla Foucault. E' un modo per fregare chi sta dall'altra parte della scrivania, per convincerlo del fatto che quello che dice di sé "conta qualcosa"...

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  2. Questi studiosi di psicologia comportamentale Hanno una visione assai razionalista ed ottimistica del magico mondo dei selezionatori...Infatti non considerano l'elaborato sistema di PREGIUDIZI che questi ultimi utilizzano per giudicare i candidati. Pregiudizi, ovviamente, che sono espressione del livello "micro" del potere: tu ti ci devi adattare, devi imparare a maneggiarli a tuo favore, sennò ti attacchi.
    I pregiudizi producono denaro? Evidentemente no, dato che non premiano le capacità. Però producono potere.

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  3. Buon giorno a tutti, ho fatto diversi colloqui in vita mia e mi pare che, col passare degli anni le modalità siano peggiorate. Ci siamo trasformati da impiegati, operai, lavoratori ecc a 'risorse umane' (da sfruttare fino in fondo??) e i colloqui sono diventati quantomai bizzarri e incomprensibili, almeno per me. Che cosa cercano di capire e dove portano domande come: 'quale è l'ultimo libro che hai letto?' oppure: 'dove ti vedi tra dieci anni?' oppure, nell'ultimo colloqui sostenuto: 'parlami di quello che vuoi' ????? Ad un'amica, laureata in chimica capitò un colloquio di gruppo (ultimo grido della moda degli uffici risorse umane) in cui si chiedeva a due gruppi di candidati di simulare un viaggio nello spazio: dovevano dire cosa avrebbero portato. Nessuno le chiese mai se sapeva usare uno spettrometro di massa o quali fossero le sue esperienze in laboratorio....

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    1. Ciao Cristina, grazie per il tuo commento, che aggiunge una ulteriore nota di grottesco all'argomento. Il viaggio nello spazio poi è davvero incredibile.

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