Fino a nove anni sono stata una bambina che giocava con le barbie. E' impossibile giocare con le barbie con convinzione, e infatti io ero una giocatrice interdetta. Adoravo i vestitini colorati, i capelli lunghi, le minuscole scarpe dalle fogge più diverse, ma poi, in realtà, oltre a guardarli non sapevo bene che fare. Le pubblicità facevano intuire, nascoste dentro quei vitini di plastica, potenzialità immense, che la fantasia di una bambina avrebbe dovuto schiudere in ore e ore di avventure. Ma la verità è che le barbie non solleticano per nulla la fantasia, non sono fatte per questo. Sono rigide, costipate, inespressive. Non hanno negli occhi la cruda decisione dei bambolotti da maschio, né le ginocchia snodabili, né un'infinità di aggeggi con cui compiere imprese eroiche, come scalare i palazzi, librarsi in volo, prendere in trappola i nemici. Ogni tanto il desiderio diventava più forte della paura e chiedevo una tartaruga ninja o un pacchetto di micro machines. Avevo sempre la sensazione che i grandi mi guardassero storto quando volevo giochi da maschio, che questo fatto li rendesse preoccupati e fastidiosamente intrusivi nei miei confronti.
Poi sono arrivate le età a due cifre, le scuole medie e, finalmente, la libertà dalla schiavitù dei giocattoli. Ora i miei mi davano la paghetta, e così cominciai a comprarmi gli album di figurine e le card dei calciatori. Non ero l'unica: nella mia scuola c'era una piccola comunità di ragazzine che collezionavano materiale sul calcio, sapevano tutto del campionato, delle coppe e di ogni impegno della Nazionale e qualche volta, quando avevano abbastanza coraggio, giocavano pure. Il calcio giocato nella maggior parte dei casi era troppo per noi, e di solito ce ne stavamo in disparte nel campo di pallavolo, che era relegato in un angolo del cortile tra le sbarre che ci separavano dalla strada e le buie colonne che sostenevano la scuola. Proprio per la posizione un po' equivoca del campo la professoressa di ginnastica era sempre da noi, mentre i ragazzi giocavano al centro del cortile, nella grande spianata di asfalto venato su cui i confini del campo da calcio e le porte, dipinti in vernice rossa, si distinguevano a malapena. A volte tiravano pallonate così forti che arrivavano a centrare le finestre più alte della scuola. Il calcio era un gioco per gente sudata, che aveva l'obbligo tassativo di farsi la doccia prima di rientrare in classe. Noi ragazzine, con i nostri palleggi ciondolanti, non avevamo neanche bisogno di portarci un cambio di vestiti da casa.
E poi c'erano le urla, e i falli sulle gambe, i capelli tirati, gli spintoni. Alle medie puoi competere fisicamente con i coetanei maschi, e ne hai anche voglia. Ogni volta che potevo allungavo qualche ceffone nella mischia, approfittando di un momento di distrazione dei prof. Ma per quanto riguarda giocare, bisognava saperlo fare. Non basta sapere le regole, leggere ogni giorno le pagine sportive, conoscere a memoria ogni dato tecnico delle giovani promesse del momento. Nella stagione '96-'97 la Sampdoria arrivò a soffiare sul collo della Juve in testa alla classifica, Montella segnò 22 gol e il Milan le prese sia all'andata che al ritorno. Ma io non giocavo.
Lo feci una volta sola nel cortile della scuola. Le gambe erano impacciate, i piedi rigidi, avevo paura di staccare gli occhi dalla palla. Per vendicarmi contro quell'incapacità azzoppai un mio compagno di classe. Da allora non ho mai più giocato a calcio in pubblico, e così non ho mai imparato nulla a parte la teoria. Inoltre, non ho mai smesso di odiare la pallavolo. E so che non solo la sola.
Faccio appello alle mie compagne di scuola, alle ragazzine che ai giardinetti stanno a guardare, alle migliaia di donne che nell'infanzia, invece di far correre a calci un pallone, hanno dovuto prendere in mano una racchetta da badminton o imparare a ricevere di bagher: riprendiamoci il calcio!

Un festival di tre giorni a Bologna per ripensare il calcio. A Ottobre.
Di giorno conferenze e incontri, di sera reading e concerti.
In mezzo proiezioni di film e documentari, torneo di calcio a cinque, bar sport, workshop di costruzione della palla per bambini. E tanto altro ancora.
John Foot, Simon Kuper, David Winner, David Goldblatt, Gianni Minà, Valerio Mastandrea, Paolo Sollier, Wu Ming, Guido Chiesa, Diego Bianchi, Mimì Clementi saranno con noi, anche per organizzare l’evento. Tanti altri amici italiani e stranieri continuano ad aggiungersi.
Tutti gli eventi congressuali saranno ad accesso gratuito. Grazie anche alle decine di volontari che hanno generosamente offerto il loro aiuto per l’organizzazione.
Tifa Fútbologia
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