venerdì 13 luglio 2012

I giornalisti italiani e la Tunisia

E' l'ennesimo caso mediatico che vede coinvolta una donna bianca e un uomo non-bianco da quando tutti i maggiori giornali e i maggiori partiti hanno scelto di sfruttare l'atavico incubo del colonizzatore per attirarsi pubblico. Parlo di caso mediatico perché del caso in sé, dopo le ultime uscite della procura, non si capisce nulla. In ogni caso la povera ragazza - delle cui abitudini sessuali nel remoto continente di provenienza sembra strano che non abbiano ancora pubblicato accurati reportage. Ma forse è perché le ore di viaggio sono tante e nessun inviato del Corriere è ancora atterrato - ha tutta la mia solidarietà.

Ebbene, sembra proprio che tra i giornalisti italiani e la Tunisia sia successo qualcosa. La strage di Erba fino ad ora è stato l'esempio più eclatante di tale patologia, ma anche questa schifosa vicenda non scherza. Oggi, dopo la lettura dell'ultimo articolo del Corriere, ho deciso di fare un piccolo sondaggio, non molto originale, ma che è riuscito lo stesso a stupirmi.

Nell'articolo del Corriere sopra citato, la parola "tunisino" compare 7 volte, accompagnata anche da un "immigrato". Nel frattempo, la parola "uomo" è usata solo 3 volte. Repubblica si comporta in modo più politicamente corretto, e inanella "solo" 5 riferimenti alla nazionalità dell'uomo. Ma il vero apice si raggiunge con i lanci d'agenzia di AGI e ANSA. La prima utilizza la parola "tunisino" per ben 3 volte in un totale di 111 parole, la seconda arriva allo stesso risultato (in un caso "tunisino" è sostituito con "nordafricano") in sole 98 parole. Neanche i miei datori di lavoro chiedono ai loro scrittori SEO di inserire in un articolo la stessa keyword con una simile frequenza.


Che cosa suscita la psicosi della Tunisia negli organi di stampa italiani? Forse quella minacciosa sillaba iniziale "TU", così dentale, che collega il nome del paese sull'altra sponda del Mediterraneo a termini quali "tumore", "tuono", "turpe". A pensare proprio male male verrebbe da dire che quella sillaba forse solletica anche un inconscio desiderio di identificazione.

Oppure più realisticamente si tratta della visione risorgimentale (ah i 150 anni...) della Tunisia come di un giardino sottratto al nostro condominio dai perfidi vicini francesi, con in più l'umiliazione di annusare dai nostri terrazzi il profumo dei loro barbecue estivi. Terra che ci sarebbe spettata, ai tempi, e che è rimasta un luogo agognato, su cui mai i bravi italiani sono riusciti a stabilire il loro ordine, e che è rimasta un paese insubordinato, mai ridotto all'obbedienza verso i Savoia né verso il fascismo. "Tunisia" allora diventa sinonimo di paese traditore, abitato da genti incolte che avrebbero potuto addomesticarsi al nostro benevolo dominio di fratelli maggiori, bianchi e cattolici, ma che per qualche motivo incomprensibile hanno scelto di non farlo.

Oggi, la Tunisia è addirittura un paese che si è liberato da sé da un dittatore, contravvenendo a tutte le regole non scritte della diplomazia intercontinentale. Un luogo in cui orde barbare hanno sradicato un padrone senza bisogno di cacciabombardieri decollati dalle nostre illuminate coste, e così facendo hanno sguarnito i confini settentrionali, come per un perfido scherzo, come in quel programma televisivo in cui il VIP di turno si ritrova chiuso in una stanza insieme a una tigre. Che pena che ci fa, quel miliardario tutto preso a sudare di paura di fronte al gigantesco felino. Che pena.




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