giovedì 10 gennaio 2013

Il buon selvaggio. Di sessismo, pittura ed elezioni

"Il desiderio di instaurare un dialogo con l'altro sesso va inquadrato anche nel gusto più generale per il primitivo, l'incontaminato, gusto che si andava sviluppando sulla scia dei racconti di viaggi, di esploratori e missionari che contribuirono a creare il mito del buon selvaggio. Nei paesi occidentali, nei salotti borghesi, la donna è, per certi aspetti, l'equivalente del buon selvaggio." (da Storia dell'idea femminista in Italia, G. Conti Odorisio)

All'epoca in cui Pellizza da Volpedo dipinse Il Quarto Stato (1901), era in corso in Italia la stesura della prima legge per porre delle limitazioni al lavoro femminile. Le donne nell'industria italiana erano infatti così tante e lavoravano così duro che si temeva una "degenerazione della razza", poiché i bambini nati da operaie erano spesso malformati o malati. Ma il pittore non le rappresentò e preferì optare per la raffigurazione di una madre e di mostrarla mentre incontra la testa del corteo in diagonale, come se fosse arrivata in quel momento, e mentre rivolge lo sguardo all'uomo, che invece avanza con pacifica fermezza verso il futuro. La posizione del Partito Socialista all'epoca era favorevole alle leggi di tutela per le donne lavoratrici, leggi che in realtà, come denunciò Anna Maria Mozzoni, più che tutelare le donne sembravano tutelare la famiglia e la casa, costringendole ad abbandonare i loro posti di lavoro per ritornare dove erano più deboli, cioè nel chiuso delle mura domestiche. Il lavoro, gli scioperi, la lotta operaia erano cose da uomini. Il Quarto Stato sembra abbracciare in pieno questa visione, che del resto era sostenuta dalla stampa socialista che Pellizza Da Volpedo seguiva.


L'uso strumentale de Il Quarto Stato, come si può ben vedere qui sopra, non nasce certo oggi con la lista di Ingroia. Eppure è significativo che proprio quella lista lo utilizzi.

Oggi la questione della discriminazione delle donne viene strumentalizzata forse come mai prima d'ora, da tutte le forze politiche che vanno da Rivoluzione Civile alla destra para-fascista, passando per il Movimento 5 Stelle, per SEL, per il PD e via dicendo. Una questione che viene risolta da quelle che si autodefiniscono forze "di sinistra" con un'insultante spartizione fifty fifty delle nomine e persino - l'ho visto coi miei occhi - del diritto di parola nelle assemblee. La discriminazione diventa un fatto che si può risolvere formalmente, aggiungendo una regoletta alla politica, la regoletta che da sempre i genitori impongono ai figli che condividono i giocattoli: fate un po' per uno. Il paragone con il gioco, un gioco in cui si vincono bei premi, è l'unico che mi viene per descrivere un atteggiamento del genere nei confronti della discriminazione, atteggiamento che però emerge nei confronti di qualunque questione, dal lavoro al rischio per nulla remoto del tracollo economico.

Nei "salotti" di questa "sinistra" i racconti di viaggio sono quelli che parlano delle luminose socialdemocrazie scandinave, luoghi in cui regnano l'onestà e i diritti, e in cui tutto è lineare, trasparente, privo delle ombre che caratterizzano la nostra politica tramacciona. E il buon selvaggio, ancora una volta, proprio come nel XIX secolo, sono le donne. Loro sono innocenza, rettitudine, semplicità. Sono voce, viso, dolci sorrisi, occhi che guardano al domani con autentica limpidezza femminile. Sono belle parole, buoni propositi, certamente idee sincere, di cuore, espresse da chi è ancora una creatura incontaminata.

Dopo due milioni di anni di storia umana, le donne vengono presentate come "il nuovo". E questa assurdità non appare per quello che è - almeno non a tutt* - perché nella storia le donne non ci sono. Seduti sulla trave dell'Empire State Building, in una famosissima fotografia, ci sono degli uomini. E nel cinema sono file interminabili di uomini, piegati nella polvere del West, a costruire la ferrovia. Le donne sono quelle che portano da bere. Le braccia che hanno costruito il mondo sono braccia maschili*.


Ma la sinistra in bancarotta non ha bisogno di verità storiche. Quello che le serve è un lavoro di branding, che renda vergine e pulita la sua immagine. E allora ecco che cosa partoriscono quelle menti vaghe: candidiamo tante donne quanti uomini. Anzi, di più! Diamo loro la precedenza, perché con le loro morbide labbra naturali da cui escono solo parole di pace ci facciano sembrare avanzati e giusti. Eccolo il segreto per sfangare alle elezioni più incerte degli ultimi vent'anni: la femmina.

*In realtà negli spopolati stati del West, in cui c'era bisogno di tutte le forze per portare avanti la colonizzazione e non si poteva escludere nessuno, le donne lavoravano e costruivano eccome, e sapevano anche imbracciare il fucile, il primo strumento, ancora prima della zappa, con il quale si cominciava a lavorare le terre dei nativi. Era tanto importante il ruolo delle donne, all'epoca che furono proprio alcuni stati nordamericani della frontiera, seguiti da quelli della colonizzazione inglese nel Pacifico (Nuova Zelanda e Australia) a riconoscere per primi il diritto di voto alla popolazione femminile.



5 commenti:

  1. Non ho letto nulla sull'atteggiamento che Ingroia sta tenendo in relazione alla questione di genere (e ti sarei grato se tu riportassi eventuali citazioni), ma una cosa è verissima: le quote rosa, come affermi, sono un insulto. In realtà, come dicevo qui parlando dello stesso argomento da un punto di vista molto vicino al tuo, costituiscono un chiaro esempio di "femmaschilismo", cioè della convinzione che ciò che si ha in mezzo alle gambe possa essere garanzia di qualche cosa.
    In fondo, di donne ce n'erano anche nel governo Monti.

    Sul fatto, invece, che la sinistra radicale stia facendo un esperimento di re-branding sono d'accordo solo fino a un certo punto: le strutture, il loro rapporto con i movimenti che tanto si millantava di voler cambiare, le tendenze leaderistiche e di prevalenza dell'immagine e della notorietà sul programma, non sono realmente rinnovate. Anzi, penso che in questo siano stati fatti addirittura passi indietro, quindi altro che re-branding!

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    1. Io non uso certo la parola branding in un'accezione positiva, spero che si capisca. E' ovvio che si tratta di un'operazione del tutto superficiale, che serve a mettere una patina illusoria di novità su un minestrone di strutture decotte.
      Ingroia non ha al momento nessuna posizione sulla questione di genere, che io sappia, come non ce l'ha su nulla che non sia la legalità. Io non considero posizione questa cosa: "2) Vogliamo uno Stato laico, che assuma i diritti della persona e la differenza di genere come un’occasione per crescere;" presa dal manifesto Io ci sto, che non ha evidentemente alcun senso. Rivoluzione Civile al momento è SOLO immagine, e questa immagine passa anche attraverso la composizione delle liste. Composizione che, dietro l'intoccabile Leader, vedrà diverse donne in buona posizione per entrare in parlamento. Donne sicuramente in gamba, meritevoli di quella posizione, non è questo il punto. Il punto è che quel progetto politico nasce per essere un buon prodotto per riportare le strutture decotte di cui sopra in parlamento. E che quelle candidature non sono frutto di una storia di partecipazione e di radicamento, ma di un'operazione di marketing.

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  2. ma l'attrice nella foto è Claudia Cardinale nel capolavoro di Sergio Leone C'era una volta il West? Stupendo..

    (scusa se sono decisamente OT e non dico nulla sul contenuto politico del post, il cinefilo che è in me non può tacere)

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    1. non può tacere ma può leggere il post, visto che c'era proprio un riferimento a C'era una volta il West :)

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    2. sì l'ho letto..Jill comunque, per quel che ricordo (l'ho visto diversi anni fa, il film), era un personaggio importante e ben scritto, faceva molto più che portare da bere (ma non vorrei polemizzare su questo, scusa ancora)

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