Come già detto, la mia ignoranza delle questioni economiche è pressoché totale, quindi è probabile che prenda degli abbagli, tuttavia oggi voglio dire qualcosa sul concetto di produttività. Sì, perché questa strana parolina sembra essere l’anello magico che tiene insieme i due concetti di “pareggiamento dei conti” e “crescita economica”. Grazie all’aumento della produttività, almeno a sentire gente come Mario Draghi, sarebbe possibile far crescere il PIL spendendo meno, e anzi persino pagando i debiti. Produttività è l’abracadabra che schiude questa fantastica porticina, quella che nessuno fin’ora è riuscito ad aprire. Ma è ovvio: Draghi è a capo di una banca, lui è uno che lavora, che ha studiato, mica come questi mafiosi che ci troviamo al potere, che vuoi che ne sappiano di economia.
Come dire che se in una famiglia ci sono tre redditi – una pensione, uno stipendio della pubblica amministrazione e un reddito derivante da una piccola attività commerciale – e se ne riducono due, la famiglia non solo resta in piedi, ma riesce pure a pagare in anticipo le rate della macchina e il mutuo. Può riuscirci in un solo modo, cioè smettendo di mangiare.
La produttività in campo economico è il rapporto tra gli output (ciò che viene prodotto) e gli input (ciò che occorre per produrre). Per quanto riguarda la produttività del lavoro il rapporto è tra ciò che viene prodotto e le ore di lavoro necessarie per produrlo. Tra le variabili di questo calcolo rientrano ovviamente a monte i trasporti, i macchinari utilizzati in un'azienda, la qualità delle materie prime e via dicendo, ma vi sono anche le pause concesse ai lavoratori, i giorni di vacanza e i ritmi di lavoro.
In un mondo allo stremo come il nostro, con poche chance di ulteriore sfruttamento delle risorse, impossibilità di rendere i trasporti significativamente più rapidi e meno costosi e consumi fermi, quando non in calo, dove si andrà a pescare per aumentare la produttività? In un mercato intasato di beni a basso costo, produttività dalle nostre parti non significa di certo aumentare l’output, cioè la produzione in senso stretto. Per quanto spesso lo paventino, gli industriali alla Marchionne non hanno alcuna intenzione di competere con i Cinesi e gli Indiani su questo. Aumentare la produttività significa, semmai, risparmiare sull’input.
Ed ecco allora che ci si scaglia contro i contratti nazionali, contro il pubblico impiego e contro lo statuto dei lavoratori. Il tutto dietro il paravento di questa parolina dall’aura così positiva. Ridurre i costi per mantenere alto il valore dell’azienda nel mercato azionario, perché un buon indice di produttività è sinonimo di solidità economica e di sbriluccicante, gloriosa, santa crescita. E chi se ne importa se dietro questo make up così fasullo si nasconde la sofferenza sociale, le azioni avranno un bel segno più. Comprese quelle del nostro scalcinato paese.
Come hanno scritto i Wu Ming su Giap, questo non è un modo per sistemare i conti, ma per regolare i conti, per regolarli contro tutto ciò che è rimasto delle conquiste nate dalle lotte nel mondo del lavoro. Lo statuto dei lavoratori? E’ delegato. Il contratto nazionale? Un relitto che i posteri ritroveranno un giorno scavando sul fondo nel mare.
Il tutto mentre tanti salutano con le lacrime agli occhi, dalla nostra barca, l’arrivo del transatlantico della BCE, ignari del fatto che ci speronerà per farci colare a picco.
Per un approfondimento e una definizione meno erosa della mia sul concetto di produttività, potete vedere qui.
Non è così semplice: più produttività grazie al maggior output è *molto* facile da ottenere in Italia.
RispondiEliminaDa statistiche che avevo trovato in giro (e che non so ritrovare senza perderci un paio d'ore che non ho) risulta che la produttività di un impiegato del terziario in Italia è il 44% in meno che in Germania.
Cosa succederebbe da noi se si eliminassero tutti gli "imbecilli al comando" che fanno scelte sbagliate e che fannp perdere secoli in riunioni improduttive, se si permettesse ai lavoratori di imparare a lavorare al meglio per la tua azienda invece di tenerli 3 mesi e poi via, se si mettessero sotto controllo i processi produttivi per capire come ottimizzarli, se si imparasse a analizzare e schedulare la produzione in modo da ridurre i fermi e gli sprechi... se si iniziassero a fare tante altre cose che in Italia manco si sa come si scrivono?
Questo permetterebbe di aumentare l'output a parità di costi non legati alle materie prime: il margine c'è eccome.
Il terziario forse è l'esempio peggiore; si tratta di un settore in cui l'aumento di produttività è sottoposto a vincoli molti più forti di quanto accada nell'industria.
RispondiEliminaSicuramente è possibile aumentare la produttività "a parità di costi". Però, da quel che ho capito l'input non è misurato in termini di costi, bensì in termini di ore lavorate.
Ora, immaginiamo un esempio semplice semplice: uno sportello pubblico in cui la produttività è misurata in termini di numero di utenti serviti in una certa unità di tempo.
Il limite ultimo è rappresentato, in questo caso, dalla velocità di esecuzione delle mansioni da parte degli impiegati. La diffusione di strumenti informatici può fare molto, ma poniamo che il numero di utenti da servire rimanga comunque troppo alto rispetto alle capacità dell'ufficio.
Cosa farà l'azienda per migliorare la produttività? Assumerà altro personale, aumentando così l'input? Difficile. Piuttosto installerà delle macchine self-service, come le casse "fai da te" della Coop o le emettitrici automatiche di biglietti nelle stazioni FS.
Inoltre, siccome la cosa si rivelerà alla lunga economicamente vantaggiosa, tenderà ad assumere sempre meno personale, contribuendo negativamente all'aumento dell'occupazione.
Resta quindi l'obiezione di fondo: di quale rilancio dell'economia stiamo parlando, se non c'è aumento di occupazione e se i lavoratori occupati vengono vessati in modo sempre più feroce?
Momento: il rapporto tra input e output si chiama prodotto medio; la produttività (del lavoro) è il rapporto tra il prodotto totale e il numero di ore uomo lavorate: questo si può ottenere attraverso miglioramenti tecnologici oppure uno sfruttamento più intenso dei lavoratori.
RispondiEliminaDetto questo poni quello su cui molti a sinistra meditano. Io la vedo così: siamo perfettamente d'accordo che le politiche europee di austerity (che a parole anche il PD avversa; quali coerenti implicazioni di politica interna intendano trarne mi è meno chiaro: vd. http://www.economiaepolitica.it/index.php/europa-e-mondo/quali-politiche-macroeconomiche-per-litalia/) sono esiziali; d'altra parte non è che questo governo, a parte tirare a campare e rimandare, aggravandolo, il problema sia in grado di proporre alternative; se l'intervento europeo arriva a farne esplodere le contraddizioni, beh, tanto di guadagnato: meglio dei conservatori onesti che questa corte dei miracoli. Certo, noi vogliamo altro ma per trattare con l'Europa occorre un governo credibile, magari dotato della fiducia di un parlamento che abbiamo eletto noi: non so voi, ma io ho già firmato per il referendum sulla legge elettorale.
Dunque, come prevedevo ho fatto una gran confusione :)
RispondiEliminaQuello che si intendeva nel post è decisamente la produttività del lavoro, quindi ora correggo la definizione.
@Arturo. Il punto è: può un governo nazionale - che sia conservatore o progressista, che sia ignorante o meno - proporre un'alternativa? Io credo di no. Credo che possa riuscirci solo un movimento dal basso transnazionale che abbia ben presente quali sono le forze in campo e qual'è la soluzione (cioè, a mio avviso, ribaltare il tavolo e cambiare il sistema). Nessun governo nazionale nelle attuali condizioni può - o vuole - trattare con l'Europa.
@R. Tu scrivi come se quelli che fossero al timone al momento non fossero gli stessi che hanno coscientemente creato questo sistema ammazzalavoro. Loro non vogliono che i lavoratori lavorino meglio, ma solo che lavorino di più per avere un numerino da sbandierare in borsa. Altrimenti che senso avrebbe togliere le pause agli operai e tagliare i ponti festivi? Non lo si fa certo per valorizzare la qualità del lavoro.
Con molte incertezza, provo a rispondere: dipende da cosa intendi per alternativa: una risoluzione della crisi, anche volendo, non credo proprio sia alla portata di un governo nazionale; una più equa e meno ammazza domanda interna ripartizione dei tagli lo è anche di un governo conservatore e lo sarebbe certamente di uno guidato dal PD (non so per te ma per me colpire i capitali scudati anziché i servizi sociali e lo statuto dei lavoratori fa un'apprezzabile differenza); un governo di centro sinistra potrebbe anche trattare con l'Europa, perché lo escludi a priori? Che poi un'internazionalizzazione dell'economia renda un autoconfinamento della sinistra all'interno degli Stati nazionali la via maestra per diventare un'ombra senza corpo, come dice Sassoon in conclusione del suo fondamentale studio sulla storia della sinistra europea nel Novecento, non credo ci piova così come credo non dovrebbe piovere sull'anormalità di una situazione in cui fondamentali decisioni economiche (cioè politiche) vengono prese da organi tecnocratici e non democratici. Concludo con un'osservazione: la storia non è necessariamente destinata a ripetersi ma mi par bene essere consapevoli che i movimenti hanno sì influenzato, più o meno ampiamente, i partiti ma non sono mai riusciti a sostituirli. In una situazione così drammaticamente complessa temo che suggestioni solaravveniristiche, che mi sembra di cogliere in quanto scrivi, non siano nient'altro che la solita illusoria scorciatoia teorica.
RispondiEliminati dirò, non condivido per niente ma proprio per niente il tuo ottimismo nei confronti del PD. primo, perché il pd non ha mai detto che colpirà i capitali scudati AL POSTO dei servizi sociali, almeno non mi risulta. richiedere una sovrattassa irrisoria a degli evasori fiscali è una mossa di puro make up, che non toglie niente all'iniquità dell'austerity (anzi ci aggiunge pure la presa per il culo). stessa cosa per l'abbassamento degli stipendi della casta. il pd ha firmato alcune delle leggi di liberismo più spinto in questo paese. i centro sinistra europei da tempo non sono più un freno al grande capitale.
RispondiEliminacapisco la tua osservazione, anche se non la condivido. del resto non riesco a capire neanche come in una situazione così complessa e di crisi sistemica un partito possa tirarci fuori. a rischio di dire qualcosa di scontato, è la ggente che deve cambiare. il problema non è che non c'è un partito, ma che viviamo in una società distrutta, fatta a pezzi dall'idea che l'individualismo sia l'unico modo per trovare la propria via. non siamo più capaci di allearci tra noi, di riconoscere i nostri comuni interessi.
Non dare aprioristicamente per scontato che il PD si allineerebbe passivamente ai diktat europei o che almeno li gestirebbe in maniera meno iniqua non mi pare proprio un'esibizione di incondizionato ottimismo per quanto sia stato effettivamente detto, per esempio, che i denari recuperati dai capitali scudati (derivanti da una parificazione all'aliquota delle rendite finanziarie: non proprio un'irrisione né una presa per il culo, direi; almeno non più del solito) andrebbero ad alleggerire il patto di stabilità dei comuni e che i tagli di spesa non dovrebbero riguardare quella sociale (sapremo di più settimana prossima); che sia meglio evitare di avere al governo fascisti e pirati mi sembra invece del tutto ovvio. Intendiamoci: in buona sostanza sono d'accordo con te, l'ho detto (i dati sull'aumento delle disuguaglianze sociali e la redistribuzione dal lavoro al profitto sono indiscutibili); quel che contesto è che non ci siano differenze apprezzabili fra i due schieramenti: sono senz'altro insufficienti ma ci sono e alcune sono piuttosto ovvie.
RispondiEliminaSono più che d'accordo con la chiusa; ma che cos'è un partito se non "un'alleanza fra noi" per i comuni interessi? Molto banalmente, io direi che può tirarci fuori chi prende le decisioni politiche, cioè, in uno stato di diritto, fa le leggi; in democrazia le leggi dovrebbero farle i parlamenti (non in UE: questo è il problema); lo strumento più democratico di partecipazione all'attività dei parlamenti sono i partiti politici. Poi naturalmente possono esserci molte differenze nel modo in cui questi sono organizzati (per esempio trovo inconcepibile che si diano contributi pubblici a partiti che non si organizzano democraticamente) e le istanze che esprimono ma le alternative finora sperimentate non hanno dato prova granché buona di sé, con svantaggio per i lavoratori innanzitutto.
Io lo do per scontato perché il Pd non fa altro che blaterare di liberalizzazioni, tagli, riforme ulteriori del mercato del lavoro e via dicendo, che è esattamente quello che dice Bruxelles. Per non parlare poi del fatto che ha tra i suoi membri più di spicco gente come Giuliano Amato, che è stato uno degli degli artefici di un Europa anti-democratica e orientata assolutamente contro i lavoratori.
RispondiEliminaNon saranno fascisti, ma merde (perdona l'eufemismo) lo sono di sicuro. Le differenze, a mio avviso, sono più che altro di linguaggio e di auto-rappresentazione. Il Pd ha la faccia più buona, non dice parolacce e non minaccia di prendere a cannonate gli immigrati. Non ha contribuito più di tanto a sdoganare quella barbarie che si può leggere ogni giorno sul Giornale o sulla Padania, però ci si è adeguato. Il rischio è che quando questi personaggi andranno al potere (con un governo tecnico, o di "salvezza nazionale" come dice D'Alema) una buona fetta di sinistra si ritrovi a brindare per la caduta di Berlusconi e, nella ciucca generale, non si accorga del Medioevo in cui non vedono l'ora di farci sprofondare. Privatizzazioni, deregolamentazione del mercato del lavoro, vantaggi agli imprenditori, contributi alle scuole private e via dicendo. Sono le loro parole d'ordine da sempre.
Il PD si iscrive pienamente in quella vague della sinistra che è stata felicemente definita neorevisionista: su questo non ci cade una goccia di pioggia (qualche giorno fa sentivo un'intervista a uno dei maitre a penser degli indignados che si lamentava perché la sinistra spagnola ha fatto una politica economica di destra restando fedele a se stessa solo in materia di diritti civili; da noi nemmeno lì, pensavo io). Nonostante questo non condivido l'opinione che la differenza sia "solo" di linguaggio: prima di tutto perché una retorica comunitar-razzista non è una pura "sovrastruttura", come credo dovremmo aver ormai imparato; in secondo luogo perché una concentrazione di poteri ricercata dai nostri e di cui si son fatte le prove generali con la protezione civile non è di nuovo pura sovrastruttura (vd. per es.: http://www.nuvole.it/index.php?option=com_content&view=article&id=466:06metamorfosi-dello-stato-di-diritto&catid=86:numero-43&Itemid=61); in terzo luogo perché è banalmente falso: facciamo un esempio concretissimo: le norme in materia di lavoro. Un'analisi ravvicinata della successione normativa dimostra che se la sinistra ha liberalizzato la destra lo ha fatto indiscutibilmente di più, talvolta molto di più (vd. un resoconto, nemmeno aggiornato alle ultime porcherie per la, ahimè, scomparsa dell'autore: http://temi.repubblica.it/micromega-online/lavoratori-senza-diritti/). Lungi da me ritenere che con la caduta di Berlusconi - che comunque auspico avvenga il prima possibile - si risolva tutto: penso anch'io sia vero il contrario. Ma proprio perché la situazione è così drammatica e incerta (la solidarietà internazionale dei lavaratori è un'idea splendida ma non direi di proprio facilissima e rapida realizzazione. Vd. intanto, per meditarci su, questo bell'articolo di Cesaratto sul Manifesto: http://politicaeconomiablog.blogspot.com/2011/08/articolo-su-il-manifesto.html) penso dobbiamo stare con gli occhi apertissimi e difendere ogni millimetro con tutti gli strumenti a disposizione, anche se non ci piacciono granché: tra questi, eventualmente, pure il PD.
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