giovedì 15 settembre 2011

Dizionario tascabile di neolingua per giovani disoccupati

Pubblico con grandissimo piacere un contributo che è arrivato a questo blog da parte di un giovane lavoratore disoccupato, altrimenti detto, nella neolingua di cui sopra, neet:

Da qualche mese sono diventato un "neet": not in employment, education or training. Un'etichetta nuova di zecca coniata da sociologi ed economisti per rendere più cool la figura – ormai pressoché maggioritaria – del buon vecchio "giovane disoccupato".

Fino a pochi mesi fa lavoravo. Il contratto – co.co.pro., per la cronaca – è terminato, e io non l'ho voluto rinnovare.

La cosa vi stupisce? Io, da povero ingenuo e fiducioso cittadino democratico liberale, ho fatto questo ragionamento: se il mercato del lavoro, come sostengono gli apologeti della flessibilità, non è mai stato così libero e flessibile, la cosa dovrebbe valere tanto per i datori di lavoro, liberi di lasciarti a casa quando vogliono, quanto per il lavoratore, libero di lasciare nella merda i suoi datori di lavoro quando preferisce – soprattutto, aggiungo io, se il datore in questione si dimostra propenso allo sfruttamento e impermeabile ad ogni richiesta di miglioramento delle condizioni lavorative.

Se, di nuovo, il mercato del lavoro non è mai stato così libero e flessibile, tanto l'uno quanto l'altro non dovrebbero avere grossi problemi a trovare altre occasioni – di libero sfruttamento in un caso, di libero impiego nell'altro.

E invece, chissà come mai, il datore di lavoro trova subito un rimpiazzo, da pagare ancora meno e da sfruttare ancora più del precedente. Mentre il lavoratore si trova con il culo a terra, costretto ad auto-impiegarsi in quel lungo, penoso, frustrante e gratuito lavoro che consiste nel... cercare un nuovo lavoro.

Veniamo così al primo assioma del "libero mercato del lavoro", che enuncerò di seguito in neolingua:

(1) Il mercato del lavoro è libero e flessibile per tutti. Per il datore di lavoro, però, il mercato del lavoro è libero in quanto flessibile; mentre, per il lavoratore, è flessibile in quanto libero.

Di seguito la spiegazione del primo assioma nella lingua corrente: le riforme neoliberali del mondo del lavoro hanno abolito – e stanno tuttora abolendo – tutele, diritti e garanzie in nome della "flessibilità". Per i datori di lavoro, la flessibilità vuol dire quindi libertà di licenziamento; per i lavoratori, vuol dire invece precariato e lunghi intervalli di disoccupazione tra un lavoro e l'altro nel caso malaugurato in cui subiscano un licenziamento o si licenzino loro stessi.

Ho quasi 28 anni, e ho l'ambizione di considerarmi "giovane". Fino a qualche mese fa ho lavorato, mentre ora sono disoccupato. Potrei quindi definirmi un giovane lavoratore disoccupato. Logico, no?

No. Perché la neolingua ha coniato per me un'etichetta tutta nuova e molto fashion: quella di "neet", appunto. Non sono attualmente occupato, sono giovane e ho lavorato fino all'altro ieri; eppure, non posso considerarmi un "lavoratore". Sono qualcos'altro.

Veniamo così al secondo assioma del "libero mercato del lavoro", che enuncerò di seguito in neolingua:

(2) Un lavoratore di età inferiore ai 31 anni, nel momento in cui viene a cessare il rapporto di lavoro in corso, cessa anche di essere un lavoratore.

Di seguito la spiegazione del secondo assioma nella lingua corrente: se ti fosse riconosciuto il titolo di "lavoratore", ne conseguirebbe che avresti dei diritti e potresti avanzare delle legittime rivendicazioni legate al tuo status. Ma questo il sistema non se lo può permettere. Per cui ti neghiamo lo status di lavoratore e ti appioppiamo uno status nuovo di zecca, coniato per l'occasione dagli ingegneri della neolingua con un carico di connotazioni negative il cui scopo deliberato è farti sentire in colpa per la tua miserrima condizione.

Per l'ex giovane lavoratore che si scopre neet e si trova a fare i conti con la sua rinnovata "libertà", la ricerca di un nuovo lavoro presenta una serie pressoché infinita di ostacoli, seccature e umiliazioni.

Il proverbiale "giro delle sette chiese" ti spinge anzitutto a bussare alla porta delle care, vecchie agenzie interinali. Soltanto per scoprire che aprono due volte alla settimana per un'ora o due al massimo, che molte ricevono solo su appuntamento (in attesa del quale possono trascorrere intere settimane), che per alcune è necessario prima del colloquio registrarsi in internet; e, soprattutto, che un numero spaventoso di persone nelle tue stesse condizioni – o in condizioni di gran lunga peggiori delle tue – ha avuto la tua stessa idea mezz'ora prima di te. Dietro una scrivania, nel frattempo, un'impiegata sottopagata accumula curricula su curricula senza promettere nulla.

Alla porta di una di queste agenzie, è appeso un cartello. C'è scritto: "curricula, iscrizioni, domande di lavoro".

Che strano, penso. Nei manuali di economia chi va in cerca di lavoro si dice che offre del lavoro, non che lo "domanda". A domandare lavoro sono semmai i datori di lavoro. In fondo, il lavoratore viene pagato per il lavoro che svolge, mentre il datore di lavoro è quello che paga...

La stessa curiosa inversione la ritrovo poco dopo nelle pagine di un giornale con "offerte" di lavoro che acquisto all'edicola vicina.

Su questo particolare aspetto, la neolingua del libero mercato tocca il suo vertice insuperato. Perché, se ci si pensa bene, invertire l'ordine di offerta e domanda in riferimento al lavoro equivale a trasformare il lavoro in... una merce che il lavoratore acquista sul mercato!

Che strano. Un signore con la lunga barba nato in Germania all'inizio dell'Ottocento diceva che nel sistema capitalistico le cose stanno, in fondo, proprio così. Infatti il tempo, le energie e le competenze impiegate dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni non sono pagate come dovrebbero; questo succede perché il datore di lavoro – quello che una volta era chiamato "il capitalista" – in un certo senso "ci fa la cresta" tendendo per sé una parte del valore prodotto dal lavoratore. Quindi è come se il lavoratore "comprasse" il suo posto di lavoro, nella misura in cui rinuncia – perché la cede di fatto al datore di lavoro – ad una parte della sua legittima retribuzione.

Di nuovo, che strano. Pensavo che il signore con la lunga barba fosse un relitto del passato, e invece aveva capito tutto. In fondo, ai suoi tempi, mettere in evidenza una cosa del gere significava dare ai lavoratori un buon motivo per incazzarsi. Oggi, invece, una condizione del genere è accettata come normale. Chissà se quelli dell'agenzia interinale col cartello e quelli del giornale hanno mai letto i suoi libri...

I manuali di economia, quindi, raccontano balle. Le agenzie interinali e i giornali non ne hanno bisogno. Difficilmente qualcuno si complimenterà con loro per la sincerità e il fine senso dell'umorismo.

Ecco dunque il terzo ed ultimo assioma del libero mercato del lavoro, che formuliamo, come da tradizione, in neolingua:

(3) L'aspirante lavoratore entra nel mercato del lavoro come offerente, mentre l'aspirante datore di lavoro entra nel mercato del lavoro come potenziale acquirente. Tuttavia, è il lavoratore a domandare lavoro e il datore di lavoro ad offrirlo.

La spiegazione di questo assioma nella lingua corrente trovatevela da soli, che non è difficile.


Grazie a Don Cave per la lucidità, la rabbia e la dignità.



2 commenti:

  1. Nelle agenzie interinali si respira umiliazione. Quella del povero che va al cospetto del padrone per elemosinare qualcosa, anche briciole. Tutti a testa bassa, affollati in spazi piccoli e in orari ridotti, tutti pronti a sottostimarsi e a sottodimensionarsi ancora di più, pur di portare a casa qualcosa. Tutti in fila, a guardarsi con sospetto, perché la persona accanto potrebbe rubarmi una delle poche occasioni per tornare a essere un lavoratore. Tutti impegnati a completare quei maledetti modelli in cui confezionare il proprio sapere e la propria esperienza, sotto lo sguardo di chi all'agenzia interinale ci lavora, che spesso non nasconde nemmeno il disprezzo, forte dell'unica differenza che c'è tra lui e chi cerca lavoro: un lato o l'altro della scrivania. Una volta una ragazza di un'agenzia chiacchierava arrogante al telefonino, con una decina di persone davanti, comunicando all'amica di aver appena firmato un contratto a tempo indeterminato. Il disprezzo e l'umiliazione. Che poi, per quanto tu ti possa sottodimensionare, le agenzie interinali non ti chiamano mai. Dovremmo farci un favore, un favore alla collettività: chiuderle. Tutte.

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  2. Condivido al 100%. Ricordo ancora quando stridevano ed erano rigettate, ma ormai sono parte del tessuto urbano e nessuno ci fa più caso. Scatole vuote che non hanno alcuna funzione, se non quella, come dite tu e Don Cave, di umiliare e spingere in basso le condizioni a cui si accetta di lavorare. Non capisco neanche come facciano a sostenersi, dato che di lavoro non ne danno.

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