lunedì 12 settembre 2011

Le scuole serali, la shock economy e il regolamento di conti

Il mio amico C. è entrato in fabbrica da ragazzino. E’ giovane, ma già metà della sua vita l’ha trascorsa facendo il saldatore, prima in Salento ed ora più al nord, per cercare uno stipendio e un padrone migliori. S’era stancato di firmare dimissioni in bianco.

Al nord non ha trovato padroni migliori, sono qualcosa di troppo raro anche lì. Forse è per questo che ha deciso di rimettersi a studiare. Quando hai trent’anni, la scuola è una cosa tremendamente seria, è il luogo dove si possono usare ogni giorno parole nuove, dove si cresce sempre, mentre in fabbrica non cambia mai nulla.

E’ una cosa tanto seria che la si ribalta da cima a fondo se è necessario, che si combatte – e si vince – contro professori pigri e incapaci, contro strutture carenti, contro direttori scolastici ostili ed inetti, che si pianta un casino ogni volta che qualcosa non va e che non si impara quanto si vorrebbe.

La genesi delle scuole serali in Italia è legata a quella del caposaldo del diritto del lavoro italiano, lo Statuto dei lavoratori. Fu quest’ultimo a istituire negli anni '70 scuole pubbliche per l’istruzione degli adulti, come parte di un progetto nato dalle lotte del mondo del lavoro che condusse l’Italia a sperimentare un benessere mai tanto diffuso. Mai i lavoratori, nel rapporto con gli imprenditori, erano stati così forti.

Ora, come tutto quello che è scritto nello Statuto dei lavoratori, anche le scuole serali sono sotto attacco, insieme alla tutela dal licenziamento e persino alla possibilità di non essere sorvegliati da telecamere e guardie giurate durante il lavoro. Insieme a tutto ciò che è emancipazione e diritto per il lavoratore.

Nella scuola del mio amico C, come in centinaia di altri istituti, quest’anno le prime classi non partiranno più. Anche qui si palesa il vero intento delle misure che, in un Italia alle prese con continui shock finanziari, vengono approvate in nome del pareggio dei conti: il pareggio, in realtà, è un tentativo di conseguire una vittoria schiacciante, quanto più possibile definitiva, contro i lavoratori. E’ il famoso regolamento di conti.

Il mio amico C. intanto si è diplomato con il massimo dei voti e ora vuole prendersi una laurea in ingegneria. E’ il suo regolamento di conti personale. Ma gli altri dietro di lui troveranno la strada sbarrata dalla riforma Gelmini e da un buio totale di prospettive, in un orizzonte in cui l’unica cosa da fare sembra arrendersi ai dettami di chi la crisi l’ha fatta per salvare non si sa che cosa. Parlare di progresso e, appunto, di emancipazione, sembra un esercizio intellettuale per filantropi che non tengono i piedi per terra.

Il fascismo, ideologia dei padroni per eccellenza, guarda caso non si preoccupò mai dell’istruzione per gli adulti, proprio perché la scuola non poteva servire all’emancipazione, ma solo a creare Italiani fascisti fino al midollo. Oggi la scuola è vista come un terreno di conquista per il mercato, scelta altrettanto ideologica di quella fascista, presa per creare generazioni di ragazzini e adulti privi dell’idea di bene pubblico e disposti a pagare per qualunque cosa. Agli operai, a quanto pare, non resta che andare al Cepu.

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