giovedì 27 dicembre 2012

Non è una crisi per donne

C. fa l'educatrice. Lavora in una comunità per minori, in cui trovano accoglienza ragazzi con varie tipologie di problemi, tra cui anche quelli psichiatrici. La scure dei tagli è arrivata anche lì, in quel luogo che dovrebbe essere un rifugio, un'oasi di serenità per ragazzi e ragazze che hanno bisogno di riprendere fiato e di curarsi le ferite. Di regola, ogni educatore dovrebbe stare solo con due ragazzi alla volta, ma ora sono il doppio e a volte quelli con problemi psichiatrici sono la maggioranza. Qualche mese fa, uno di loro ha piantato una penna della spalla di C.

V. è un'assistente sociale, una di quelle che si prende in carico anche emotivamente i casi di cui si trova ad occuparsi, spesso senza riuscire a dare un vero aiuto. Di recente, i tagli hanno ridotto drasticamente il personale, e V. deve presentarsi in casa delle persone di cui si occupa (e per cui spesso riesce a fare ben poco) completamente da sola. Alcune di queste persone sono malate e disperate.

B. è un caso abbastanza tipico. Disoccupata, si ritrova a coprire i buchi del welfare in famiglia. Lavora instancabilmente, ogni giorno, ma non ha i soldi per andare via di casa e per farsi una vita tutta sua. Sperimenta con decenni di anticipo e senza la possibilità, prima, di costruire per sé, quello che vivono tante donne della generazione schiacciata tra i nipoti senza più asili e i genitori ormai vecchi.

Il capitalismo utilizza la discriminazione contro le donne per rendere più produttive tutte le forze lavoratrici. Lo fa sfruttando le donne in quanto donne dentro le fabbriche, approfittando della loro posizione di maggiore debolezza nella società per piegarle alle condizioni più brutali. Lo fa quando fa sì che, in quanto donne, si ripieghino sui ruoli più tradizionali, quelli della cura, che diventano dei ghetti di lavoro femminile sempre più svalutato, che può essere spremuto fino all'ultima goccia e infine lasciato al volontarismo e al coraggio di quelle che resistono. Lo fa esponendo le donne, senza alcuna remora, alla violenza, sul loro posto di lavoro, nelle strade sempre più affollate di uomini brutalizzati, o a casa, laddove ad attenderle ci sono mariti, padri, compagni, fratelli da cui non possono liberarsi se lo vogliono. La violenza maschile non ha di certo origine nel capitalismo, però peggiora ogni volta che le donne non hanno che la possibilità di raggiungere uno spauracchio di emancipazione. La violenza non avviene perché gli uomini si ribellano contro il fatto che le donne sono diventate più forti, ma perché approfittano del loro essere ancora più deboli, così come è sempre accaduto.

Il femminismo non è uno dei famosi "temi etici", non è una battaglia morale o semplicemente culturale, perché le pastoie che abbiamo legate ai piedi sono concretissime, possiamo quasi vedercele alle caviglie. Sono l'inesistenza di un lavoro degno di questo nome, sono i soldi che mancano, sono la cura e l'assistenza gettate sulle nostre spalle. I deliri di uno stalker integralista cattolico e di un prete misogino non sono pericolosi tanto per le parole che contengono, ma perché la Chiesa a cui appartengono è ancora più forte di noi.


4 commenti:

  1. Altro bel post....... Mami soffermo sulprete misogeno e propongo (io che sono agnostico) ciò che in proposito ha detto Don Mazzi scagliandosi contro la chiesa e addirittura Ratzinger (qui il link:http://video.repubblica.it/cronaca/il-caso-don-mazzi-la-chiesa-faccia-mea-culpa-i-vescovi-non-sono-piu-pastori/114772?video ).

    Antonioni si interrogava ai tempi dei film con la Vitti sul male della incomunicabilità.... Ahimè non abbiamo fatto nessun passo avanti e poco consola che ci siano preti come Don Mazzi.... Il male è dentro di noi e dentro le nostre case. Siamo muti e chiusi, presi dai nostripensieri e dalle nostre paure. Dal cercare un qualsiasi nemico sul quale sfogare le nostre frustrazioni. Perdendo giorno per giorno la capacità di fidarci ( e sarò cattivo) forse perchè sappiamo benissimo che all'occorrenza non ci mettermmo ne A e ne BA ad essere altrettanto indifferenti (mors tua vita mea dicevano i preti). Abbiamo perso il senso della comunità rendendola sempre più piccola e alla fine chiusa. Eppure.... sarebbe così bello poter guardare a l'altro consentendoci finalmente di respirare a pieni polmoni..... come accadeva quando eravamo bambini. buona fortuna a tutti noi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti ringrazio per il complimento (chiunque tu sia.Ma...una firma? Un nick?Sei lo stesso che ha commentato altre volte?).
      Hai toccato un bel po' di temi assai problematici in queste poche righe. Ed è vero quello che dici, però è anche vero che basta un colpetto per rompere quel guscio di "incomunicabilità", come la chiami tu. Familismo amorale, dicevano gli antropologi.

      Elimina
  2. Se mi fai tale domanda vuol dire che mi hai, in qualche modo, riconosciuto.... ma se perte è più importante un nome o un nick ti accontento (per quel che può valere). Lindbergh.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non è che sia importante per me. E' che gli esseri umani, da che mondo e mondo, sono soliti nominarsi, per non fare confusione. Comunque fa come vuoi.

      Elimina