Il recente successo al Referendum ha parso dimostrare ciò che alcuni profeti del web dicono da tempo: la Rete è oggi una forza positiva, che può tirare fuori il paese dalle tenebre della disinformazione e ridargli dignità, speranza, persino senso civico.
Per fortuna, oltre a questo discorso para-evangelico, se ne stanno sviluppando altri, assai più lucidi. I Wu Ming, tramite il loro da me amatissimo blog Giap, hanno di recente proposto un nuovo modo di guardare a internet e alle tecnologie che la sostengono, un modo che tenga conto del lavoro necessario per produrre sia i supporti che i contenuti, dei rapporti di produzione tra aziende globali dell’informatica e operai, o tra giganti della comunicazione e utenti. In poche parole, il caro vecchio Marx.

Tra le multinazionali citate, ovviamente, Microsoft, Apple, Google e Facebook; aziende mastodontiche che, insieme a poche altre, di fatto sono proprietarie della Rete, quella stessa Rete che molti dicono libera e inafferrabile per costituzione, quasi che non fosse, invece, fatta di tecnologie materialissime, software con tanto di copyright, siti da centinaia di milioni di utenti che curvano lo spazio virtuale e incanalano il traffico come potentissimi poli gravitazionali.
Sulla produzione dei supporti elettronici, dall’estrazione dei metalli necessari, alla manifattura e all’assemblaggio delle componenti e al loro smaltimento quando diventano rifiuti, non ho molto da dire, salvo suggerire qualche link, come questo, questo, questo o questo.
Sulla produzione dei contenuti, ovvero sul lavoro di si chi occupa di scrivere, ordinare, ottimizzare quel favoloso universo di pagine di cui la Rete è composta, posso dire qualcosa. Per esempio, posso dire che per tenerla in piedi e renderla quello che è, è fiorito un mercato enorme, in cui la pratica dell’outsourcing, ovvero del lavoro esternalizzato, ha una grandissima importanza.
Prendiamo l’ottimizzazione per i motori di ricerca (il cui acronimo inglese è SEO), una di quelle nicchie economiche emerse direttamente come “indotto” di Google: si tratta, in sostanza, di creare delle pagine che riescano a salire in alto nell’indicizzazione del motore di ricerca, lavorando sia sui contenuti sia sui codici html. Inserire in un testo parole chiave (quasi sempre insensate dal punto di vista semantico, ortografico o grammaticale) o collegare quest’ultime con dei link alla pagina del cliente, per poi immettere il tutto online, è un esempio del lavoro che lo scrittore SEO deve svolgere. Infatti, mentre i tecnici si occupano di pianificare l’ottimizzazione e di “assemblarla”, gli scrittori stanno alla catena di montaggio dei contenuti, producendo a ritmi forsennati squallidi articoletti incentrati sul sito o sul particolare prodotto da cui proviene l’incarico. Tali scrittori non sono, spesso, dipendenti dell’azienda che offre servizio SEO, ma vengono pescati con reti dalle maglie strette nei siti che si occupano di fare da tramite, appunto, tra i datori di lavoro e la manodopera freelance di tutto il mondo. Un nome su tutti, Odesk.
Il sito Odesk.com, di cui ho già parlato, è una vera macchina da soldi: nel solo mese di maggio al suo interno sono passati trasferimenti di denaro per oltre 17 milioni di dollari, cifra di cui trattiene, come commissione, ben il 10%. I lavoratori che lo frequentano provengono in massima parte da India, Filippine, Russia e Ucraina, e svolgono ogni tipo di mansione sia possibile esternalizzare, dall’assistenza ai clienti, al telemarketing, al design di loghi, al SEO. Quest’ultimo ambito viene richiesto con una frequenza di circa 1000 annunci di lavoro al mese, appena sotto per mole di richieste (ne saranno forse stupiti coloro che credono nell’autenticità della Rete) al blog writing. La paga media di uno scrittore indiano, ucraino, russo o filippino oscilla tra i 5 e i 3 dollari l’ora, ma bisogna anche considerare che molti datori di lavoro richiedono prestazioni a cottimo, in cui gli articoli possono essere pagati non più di uno o due dollari.
In pratica, qualunque sito commerciale che voglia incrementare le proprie possibilità di essere trovato dai motori di ricerca (cioè tutti), ha bisogno di questo servizio, che aziende specializzate vendono sfruttando il lavoro di manodopera che si trova in paesi poveri, dove arrivano pochi dollari a fronte di un investimento iniziale, da parte del sito committente, anche di centinaia di migliaia di dollari. Poiché si tratta di lavoro che può essere svolto da casa, c’è da scommettere che la maggior parte dei contractors sono donne (purtroppo Odesk non fornisce dati al riguardo). Qualunque sito commerciale di una certa dimensione, dunque, che venda viaggi, vestiti o spazi pubblicitari, ha voluto la messa in moto di questo meccanismo, e tutto a causa dell’esistenza di Google.
Una Rete libera, territorio di uguaglianza e di assenza di opprimenti cappe proprietarie è una chimera, buona per vendere DVD su beppegrillo.it.
Per chi fosse interessato all'argomento, c'è anche questo articolo in cui tra l'altro si dice che Google ha preso provvedimenti per rendere inefficace il metodo SEO che descrivo.