Il Ministro Renato Brunetta non è certo nuovo alle esternazioni polemiche – quando non apertamente insultanti – contro i lavoratori. Volgare e ignorante più di ogni caricatura dell'Italia berlusconiana, da buon stereotipo ha fatto della lotta contro altri stereotipi il fulcro della sua politica. Le sue sparate sono abitate da impiegati lassisti, precarie sinistroidi e figlie di papà, giovani pigroni che trascorrono i pomeriggi – perché prima non si alzano dal letto – sbavando improperi su facebook.
Anche se il suo ruolo di carica pubblica, e il modo in cui la ricopre, lo rendono particolarmente odioso, il Ministro Brunetta non è che la punta – la puntina – dell'iceberg. I giovani vogliono solo lavorare comodi davanti al computer, non vogliono più fare lavori manuali, vogliono la pappa pronta. Andate a lavorare in fabbrica, a spazzare le scale, a scaricare le cassette ai Mercati Generali. Chi non ha mai sentito una di queste massime, magari rivolta alla sua persona, uscire dalla bocca di un parente, un conoscente, un datore di lavoro o provenire da un iracondo passeggero di autobus?
Niente di nuovo, di certo, ma un'ennesima, inquietante riproposizione di quella cultura che condanna moralmente i poveri, e i giovani poveri in particolare, con il pretesto di giudicarli artefici delle loro stesse miserie. Una cultura vecchia di secoli, su cui si è ottimamente innestata la mentalità dell'individualismo più distruttivo, dell'auto-imprenditorialità al ribasso, dello yuppie rampante e feroce di inizio millennio. Lo scheletro, si può dire, di quel senso comune che mantiene in piedi l'impalcatura legislativa della precarietà, che altrimenti sarebbe spazzata via dalle proteste di coloro che ne subiscono le terribili conseguenze.
Ciò che il Ministro Brunetta e i declamatori della sua stessa cultura ignorano, insieme a tante altre cose, è il fatto che di giovani che scaricano le cassette ai Mercati Generali alle cinque di mattina ce n'è, eccome. Non solo i precari, come ricorda qui Sandrone Dazieri, tengono in piedi una grossissima fetta, e per di più crescente, della nostra economia, ma molti di essi, specialmente giovani, vengono impiegati in mansioni per cui il titolo di studio che possiedono è inutile perché troppo alto. Secondo i dati resi noti recentemente da Confindustria – quindi non certo un covo di precari assetati di sangue – tra i giovani laureati quasi la metà sono sottoinquadrati. Accade al 40% dei ragazzi, e al 50% delle ragazze.
Secondo i dati di AlmaLaurea, più dell'80% dei laureati in Lettere e Filosofia dichiara di svolgere a tre anni dalla fine degli studi un lavoro in cui la laurea non è richiesta. La percentuale di campione che ha trovato un impiego che valorizza il suo titolo di studio è uguale a quella di coloro che lavorano nel campo dell'istruzione e della ricerca, ovvero in un ambito in cui la laurea è d'obbligo (le donne che hanno un impiego in questo campo, in realtà, sono ben il 27%, a fronte di un 20% che utilizza la laurea per lavoro). Si può quindi ragionevolmente dedurre che gli altri, sparsi per tutti gli altri campi di impiego, svolgano mansioni in cui è necessario al massimo un diploma, ovvero non ricoprano certo il ruolo di quadri qualificati. Un quarto dello stesso campione, i laureati provenienti dalla facoltà di Lettere e Filosofia, lavora tra l'industria e il commercio: questo significa che fanno gli operai, le commesse o, presumibilmente, gli scaricatori ai Mercati Generali.
Un altro fatto che il Ministro Brunetta ignora è che il salario medio di quel campione, nonostante una buona parte di esso svolga i buoni vecchi lavori manuali – non certo roba da nerd lamentosi – rimane attorno ai 1000 euro, 1100 circa per gli uomini e circa 900 per le donne. Cifre che permettono una vita autonoma, ma non certo il lusso di avere una casa tutta per sé o di immaginare una famiglia senza l’aiuto dei genitori.
La cultura della precarietà di cui Brunetta e molti altri si fanno testimoni si nutre di bugie come quelle che il Ministro va blaterando ad ogni piè sospinto. Basta smascherarle, con la forza dei dati, per far crollare quell’orribile senso comune che sta alle loro spalle?
Per portare avanti la vitale riflessione su questa domanda, mi permetto di segnalare un post che andrebbe, a mio avviso, masticato, rimuginato, elaborato. Da tutti.
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