mercoledì 22 giugno 2011

Karl Marx wants to be your friend on Facebook

Il recente successo al Referendum ha parso dimostrare ciò che alcuni profeti del web dicono da tempo: la Rete è oggi una forza positiva, che può tirare fuori il paese dalle tenebre della disinformazione e ridargli dignità, speranza, persino senso civico.

Per fortuna, oltre a questo discorso para-evangelico, se ne stanno sviluppando altri, assai più lucidi. I Wu Ming, tramite il loro da me amatissimo blog Giap, hanno di recente proposto un nuovo modo di guardare a internet e alle tecnologie che la sostengono, un modo che tenga conto del lavoro necessario per produrre sia i supporti che i contenuti, dei rapporti di produzione tra aziende globali dell’informatica e operai, o tra giganti della comunicazione e utenti. In poche parole, il caro vecchio Marx.

Tra le multinazionali citate, ovviamente, Microsoft, Apple, Google e Facebook; aziende mastodontiche che, insieme a poche altre, di fatto sono proprietarie della Rete, quella stessa Rete che molti dicono libera e inafferrabile per costituzione, quasi che non fosse, invece, fatta di tecnologie materialissime, software con tanto di copyright, siti da centinaia di milioni di utenti che curvano lo spazio virtuale e incanalano il traffico come potentissimi poli gravitazionali.

Sulla produzione dei supporti elettronici, dall’estrazione dei metalli necessari, alla manifattura e all’assemblaggio delle componenti e al loro smaltimento quando diventano rifiuti, non ho molto da dire, salvo suggerire qualche link, come questo, questo, questo o questo.

Sulla produzione dei contenuti, ovvero sul lavoro di si chi occupa di scrivere, ordinare, ottimizzare quel favoloso universo di pagine di cui la Rete è composta, posso dire qualcosa. Per esempio, posso dire che per tenerla in piedi e renderla quello che è, è fiorito un mercato enorme, in cui la pratica dell’outsourcing, ovvero del lavoro esternalizzato, ha una grandissima importanza.

Prendiamo l’ottimizzazione per i motori di ricerca (il cui acronimo inglese è SEO), una di quelle nicchie economiche emerse direttamente come “indotto” di Google: si tratta, in sostanza, di creare delle pagine che riescano a salire in alto nell’indicizzazione del motore di ricerca, lavorando sia sui contenuti sia sui codici html. Inserire in un testo parole chiave (quasi sempre insensate dal punto di vista semantico, ortografico o grammaticale) o collegare quest’ultime con dei link alla pagina del cliente, per poi immettere il tutto online, è un esempio del lavoro che lo scrittore SEO deve svolgere. Infatti, mentre i tecnici si occupano di pianificare l’ottimizzazione e di “assemblarla”, gli scrittori stanno alla catena di montaggio dei contenuti, producendo a ritmi forsennati squallidi articoletti incentrati sul sito o sul particolare prodotto da cui proviene l’incarico. Tali scrittori non sono, spesso, dipendenti dell’azienda che offre servizio SEO, ma vengono pescati con reti dalle maglie strette nei siti che si occupano di fare da tramite, appunto, tra i datori di lavoro e la manodopera freelance di tutto il mondo. Un nome su tutti, Odesk.

Il sito Odesk.com, di cui ho già parlato, è una vera macchina da soldi: nel solo mese di maggio al suo interno sono passati trasferimenti di denaro per oltre 17 milioni di dollari, cifra di cui trattiene, come commissione, ben il 10%. I lavoratori che lo frequentano provengono in massima parte da India, Filippine, Russia e Ucraina, e svolgono ogni tipo di mansione sia possibile esternalizzare, dall’assistenza ai clienti, al telemarketing, al design di loghi, al SEO. Quest’ultimo ambito viene richiesto con una frequenza di circa 1000 annunci di lavoro al mese, appena sotto per mole di richieste (ne saranno forse stupiti coloro che credono nell’autenticità della Rete) al blog writing. La paga media di uno scrittore indiano, ucraino, russo o filippino oscilla tra i 5 e i 3 dollari l’ora, ma bisogna anche considerare che molti datori di lavoro richiedono prestazioni a cottimo, in cui gli articoli possono essere pagati non più di uno o due dollari.

In pratica, qualunque sito commerciale che voglia incrementare le proprie possibilità di essere trovato dai motori di ricerca (cioè tutti), ha bisogno di questo servizio, che aziende specializzate vendono sfruttando il lavoro di manodopera che si trova in paesi poveri, dove arrivano pochi dollari a fronte di un investimento iniziale, da parte del sito committente, anche di centinaia di migliaia di dollari. Poiché si tratta di lavoro che può essere svolto da casa, c’è da scommettere che la maggior parte dei contractors sono donne (purtroppo Odesk non fornisce dati al riguardo). Qualunque sito commerciale di una certa dimensione, dunque, che venda viaggi, vestiti o spazi pubblicitari, ha voluto la messa in moto di questo meccanismo, e tutto a causa dell’esistenza di Google.

Una Rete libera, territorio di uguaglianza e di assenza di opprimenti cappe proprietarie è una chimera, buona per vendere DVD su beppegrillo.it.


Per chi fosse interessato all'argomento, c'è anche questo articolo in cui tra l'altro si dice che Google ha preso provvedimenti per rendere inefficace il metodo SEO che descrivo.

10 commenti:

  1. Mi pare buono che si cominci a sfatare la favola bella della rete libera. Come se non ci fosse qualcosa che oggi non è mercato. Mi sembra anche interessante, sul blog che tu citi, Giap, a questo proposito, la discussione sui referendum. Su quetso, però, mi piace segnalare anche un articolo di Michele Serra su Repubblica di oggi, che parte dalle scelte dei temi di maturità per tentare un'analisi, approssimativa quanto vuoi e quindi forse chiamarla analisi è molto, troppo, sulla partecipazione e il ruolo dei "giovani" rispetto ai referendum.

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  2. A me pare, oltre che buono, indispensabile se si vuole uscire dalla strana stagnazione in cui molte persone informate e cazzute nella vita (non mi viene un altro termine :D ) si trovano per quanto riguarda l'impegno politico, la risposta alla domanda che fare?
    Come ho già detto altre volte, la mia impressione è che la favola della rete libera sia innanzitutto comoda, comoda per quelli che ci hanno costruito sopra la loro fortuna e per quelli che credono davvero che per cambiare le cose basti condividere dei link su facebook. La favola della rete libera ci lava la coscienza, prima di tutto. E poi rende potentissimi personaggi odiosi che non durerebbero un giorno se dovessero confrontarsi davvero, di persona, con gli altri (vedi Grillo).

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  3. Son d'accordissimo. A rileggerti presto.

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  4. Anch'io spero di rileggerti presto! Ciao! :)

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  5. Stupidamente, non avevo mai pensato, se non di sfuggita, alle condizioni lavorative e ai rapporti di produzione nel mondo di internet.
    Tuttavia, la parte sul controllo sociale la condivido in pieno ed è ciò che penso da tempo: inviare una mail o un link a catena (--> alienazione) ti lava la coscienza.
    È per questo che la rivoluzione dovrà partire dalle persone vere, anche quelle che lavorano nell'ambito; i giornali ci parlano di "vittorie della Rete" e di "popolo di internet" come se Facebook fosse il soggetto, e non lo strumento, delle rivoluzioni arabe o dei referendum italiani.
    Uscire da questa situazione sarà un casino, in qualunque modo lo si farà.

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  6. D'accordissimo sull'ultima frase.
    Inoltre, facebook twitter & co sono solo UNO DEGLI STRUMENTI delle rivoluzioni arabe, o delle mobilitazioni che ci sono in giro per l'europa, in Iran ecc, o del nostro Referendum...Ce ne sono altri. Vogliamo scordarci la mobilitazione piazza per piazza fatta dai comitati per l'acqua?

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  7. Da quello che ho capito questo cambiamento riguarda i siti fuffa, cioè quelli che non hanno per nulla o hanno pochissimi contenuti propri, giusto? A me è capitato di scrivere articoli per siti di gioco, o di vendita di viaggi, o cose così. Quindi siti che - almeno credo! - dei contenuti ce li hanno, ma hanno bisogno di salire in fretta nell'indicizzazione. Non so se rientrano nella categoria a cui si riferisce l'annuncio. Visto che conosci queste cose ti chiedo delucidazioni.
    Anche per sapere se verrò presto licenziata dal mio lavoretto da mipagosoloilmangiare euro al mese.

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  8. Compagna, anche Formenti in "Sfruttati e felici" parla di oDesk.
    In questo caso per portare esempi empirici a sostegno della tesi del taylorismo digitale/controllo pervasivo dei lavoratori del terziario.
    oDesk ogni ora infatti scatta 6 istantanee del monitor del freelancer, e la invia al datore di lavoro.

    La mia azienda (inglese, si occupa di SEO) ne fa abbondante uso, di oDesk. Meno degli strumenti di controllo perché per fortuna a fare da intermediari ci siamo io ed alcuni altri compagni.

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    1. Bravissimi! Io lavoro tramite Odesk da anni ormai, e per fortuna non mi è mai capitato di dovermi sottoporre a quel genere di controllo dato che lavoro a cottimo. Però immagino che per altri tipi di mansione sia la norma. La cosa più incredibile di Odesk (credo di averne parlato anche nel post che è linkato in questa pagina) è che ha le SUE leggi sul lavoro, che applica tramite i SUOI tribunali. Ovviamente entrambi, leggi e tribunali, valgono come il due di picche e il datore di lavoro non rischia veramente nulla. Grazie per il consiglio di lettura, lo seguirò certamente.

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