lunedì 10 ottobre 2011

Defeticizzare la pizza da asporto

Per A, l’amico che lavora con me, il sabato e la domenica sono giorni di riposo. Questo nonostante comunque trascorra in pizzeria – tra preparazioni, consegne e pulizie – circa sette ore. Durante i giorni “feriali” lavora dodici ore al giorno in cambio di ottocento euro al mese e di un contratto regolare, che gli ha dato la possibilità di volare in Pakistan per qualche settimana con in tasca un permesso di soggiorno. Non tornava a casa da sei anni. Ora è talmente pieno di debiti che non può ricomprare i vestiti che i suoi vecchi padroni di casa hanno buttato nella spazzatura, dopo aver sfrattato lui e i suoi quattro coinquilini dal bilocale in cui abitavano. Alla fine di ogni serata calda di questa lunga coda d’estate ringraziava Allah, per avergli concesso di non congelare mentre sfrecciava in motorino per le strade di Bologna

Ogni giorno che passa i suoi capelli sono più bianchi. A quanto pare due lauree e sei lingue non bastano a staccarsi da quel maledetto motorino e a trovare un lavoro al chiuso, al caldo. Dice che quando i clienti pagano con un biglietto da cinquanta euro aspettano di ricevere il resto prima di allungargli la banconota, e a volte, facendo finta di niente, cercano persino chiudergli la porta in faccia senza dargliela.

Io sono fortunata, non ho debiti e posso mettermi in tasca tutto quello che arriva. Sei euro l’ora. Quando ho visto la prima paga settimanale non ci credevo. Nell’altra pizzeria in cui ho lavorato – non ho resistito più di qualche giorno – prendevo esattamente la metà, in nero. I ragazzi che lavoravano con me erano tutti clandestini tranne uno, un rifugiato, scappato dall’Iran quando aveva quindici anni. Siccome avevo studiato il persiano mi aveva presa in simpatia e correva ad aiutarmi ogni volta che mi incasinavo con la cassa. Il padrone invece, quello stronzo, era egiziano e credo ci godesse non poco a sottopagare un’italiana.

R., il ragazzo iraniano, una volta si era schiantato talmente forte contro un bidone della spazzatura che il suo casco si era spaccato a metà. Lui non era religioso, e diceva semplicemente di aver avuto culo.

C’è qualcosa di strano nelle decine di pizzerie da asporto di questa città. Aprono, chiudono, cambiano nome, e l’umanità che le fa tirare avanti è sempre la stessa, si sposta da una all’altra, fluendo, senza che nulla, nel continuum di cibo che viaggia a settanta all’ora per la città, si interrompa. Nemmeno una vibrazione, un tremolio di incertezza, giunge su quelle migliaia di bocche affamate.

Stay foolish, diceva quello là. Stay hungry.

2 commenti:

  1. Che brutta espressione quello là e che brutto tumblr.

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  2. Kitty non ho capito se il tuo commento è ironico o no :)
    Nel dubbio, ti linko questo http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5512

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