Una delle cose più incredibili del capitalismo è che si tratta di un sistema economico fondato sulle capacità di rimozione dell'essere umano. Pensando di essere consumatori, rimuoviamo il fatto di essere anche, dal momento che di norma lavoriamo, produttori. E poiché, come scriveva Wu Ming 1, "Il consumatore è l’ultimo anello della catena distributiva, non il primo della catena produttiva", quando ci consideriamo consumatori accettiamo di posizionarci al termine di un processo, in fondo alle cose, nel punto in cui non c'è più niente da fare e ogni azione è, nel migliore dei casi, un lontano brusio che non infastidisce le orecchie che vorrebbe assordare.
In cambio riceviamo l'illusione di non trovarci invece all'altro capo del tragitto, insieme ai Cinesi che assemblano cellulari in enormi fabbriche-città, o agli Indonesiani che cuciono magliette per 14 ore al giorno. L'Oriente produce - i paesi poveri producono -, mentre noi, che siamo ricchi, consumiamo. Quanto è consolatoria questa barzelletta, quanto ci fa sentire al sicuro nel nostro porticciolo alla fine della storia. Quanto ci è cara, per il fatto che ci da la possibilità di continuare ad essere Noi e Loro, lontani su due gradini diversi del podio.
Il consumatore è un individuo che si osserva attraverso una lente di ingrandimento - la lente che il capitalismo gli ha messo davanti agli occhi -, e che per questo pensa di essere, come individuo, pienamente capace di incidere politicamente. E' un farfugliare da ubriachi, che regala enormi vantaggi a chi questo sistema lo comanda per davvero, mentre a noi lascia soltanto lo straniamento un po' euforico di una boccata di popper.
Qui e qui si possono trovare pezzi dell'ennesima storia orrenda, con le operaie uccise mentre lavoravano per meno di 4 euro l'ora in nero. Se non sapete dov'è Barletta, cercatevela su Maps.
Qui potete trovare un post la cui relativa discussione è immediatamente sfociata nel nulla siderale.
Capirai, io ho lavorato anche per meno.
D'ora in poi boicotterò i maglioni.
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