giovedì 14 luglio 2011

Io ricordo Genova

Sono nata e cresciuta in una città che si trova a 40 chilometri da Genova, un piccolo centro di industria pesante dismessa, marinai e contadini immigrati. Simile alla grande città più a est, ma allo stesso tempo irrimediabilmente separata da essa dalla storia e da quello strano imbarazzo diffidente che porta talvolta la gente nata sul mare a guardare più volentieri verso l'interno e le montagne che verso altri porti.

Nel luglio del 2001 non avevo ancora 17 anni e Genova era per me la città dove aveva studiato mio padre, quell'enorme reticolo di vicoli che i miei genitori attraversavano correndo, trascinando per mano me e mia sorella bambine, quando andavamo un paio di volte all'anno a comprare gli aghi da agopuntura in una bottega cinese al primo piano di un tetro palazzo del centro storico. Allora certe zone potevano essere pericolose anche in pieno giorno.

Era il quartiere di ruggine, Cornigliano, che scorreva fuori dai finestrini del treno, nelle mie prime esplorazioni dei festival e dei negozi della grande città. Era qualcosa che c'entrava con i dischi di De André, ma non sapevo ancora come. Non capivo in che modo le due Genova, quella che conoscevo attraverso il poeta e quella che vedevo con i miei occhi, potessero essere lo stesso luogo. Iniziai a capirci qualcosa un paio di anni dopo, dopo il G8 e i massacri visti in tv.

In quel luglio la mia piccola cittadina di provincia, fieramente indipendente, fu inghiottita suo malgrado dal caos che la metropoli, recintata e blindata, sputava verso le periferie: le vie invase dai camion costretti a uscire dall'autostrada, la polizia ovunque, l’invito a non parcheggiare le auto nei dintorni della stazione o nelle zone più centrali (sembra incredibile, ma è così). Il tg regionale ci sottoponeva ogni sera a tutta una liturgia di incitamenti all'ansia e alla paura.

Inutile dire che nella grande città, in quei giorni, non ci misi piede. Rimasi a casa, incollata alla tv e alla radio, incapace di credere che davvero quelle scene terribili si stessero svolgendo a un passo da me. Ogni tanto, nelle ore trascorse a seguire le notizie, l'idea di Genova e della repressione mi arrivava addosso come uno schiaffo. La grande città di ruggine non era mai stata così vicina, e non si allontanò mai più, nonostante non me ne sia sentita mai parte, nonostante qualcosa di me provi ancora un brivido di circospezione quando mi addentro nei suoi vicoli – oggi assai diversi da com'erano vent'anni fa -, percorro con lo sguardo i suoi infiniti quartieri allungati verso ponente, cammino nella folla delle sue strade larghe, quelle che videro migliaia di persone, in quei giorni, cercare riparo dalla ferocia dello stato.

Il mio ricordo di quel luglio è la paura, la paura della violenza e del dolore, di un potere che terrorizza, stritola e spacca le persone. Del fatto che tutto questo fosse vicino, quasi a casa mia.


Io ricordo è un progetto che si trova qui.

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