
La piccola città post-industriale, con le vecchie fabbriche di mattoni abbandonate sul retro dei nuovi palazzi di vetro azzurro chiaro, per l'occasione si è intasata di pullman e auto di vacanzieri impazienti di prendere possesso del loro posto all'interno del lussuoso transatlantico. I palazzi sbiaditi - quelli di cui la crisi ha stoppato il maquillage - assumevano di fronte alla nave la tonalità beige delle miserie quotidiane, dei posti in cui si lavora e si vive e ci si diverte poi poco, delle tristi località in cui nessuno vorrebbe mai mettere piede.
A quaranta chilometri di distanza, in un tratto di litorale cancellato dalle mappe marittime in possesso dell'equipaggio della grande nave, si trova il presidio degli operai della Fincantieri di Sestri Ponente. Di fronte alla Costa Concordia, che esorbita di decine di metri dalla skyline delle casette del porto, che sembrerebbe capace di spaccare la città in due con un colpo d'elica e di prua e che in effetti, nel mare, crea danni di non molto dissimili, viene quasi da rimproverarli: dopo aver costruito un simile mostro, costretti dall'onere del lavoro, non dovevate lasciarlo andare. Dovevate sequestrarlo, gettare a mare i bulloni degli immensi motori, spegnerlo per sempre.
Ed è quello che stanno facendo, in effetti, con la Oceania Riviera, un'altra Las Vegas galleggiante che dovrebbe prendere il mare a primavera. La terranno chiusa nel recinto del cantiere fino a quando non riusciranno ad ottenere qualche garanzia su un futuro che vada oltre i due anni della cassa integrazione. Il nuovo mostro ancora in costruzione, immagino, avrà già cominciato ad emettere tonanti cigolii di disappunto.
Da Savona, la Costa Concordia le lancia richiami che fanno tremare i muri. Vedrai, sembra dirle, un giorno anche tu brulicherai di passeggeri paganti, marinai candidi, cameriere filippine, e salperai da qui verso un domani di sogno e ricchezza. Le altre navi - sono ben tre in totale - incastrate l'una accanto all'altra nel piccolo porto, le fanno eco. Tra mostri la solidarietà davvero non manca.
Non è mica normale vedersi passare i canadair sopra la testa e non farci più caso. La maggior parte della gente forse non li ha neanche mai visti in vita sua, questi aerei rossi e gialli, che ad osservarli da lontano, stagliati contro il cielo e poi pronti a tuffarsi nell'acqua, sembrano dei giganteschi gabbiani colorati. Tracciano nell'aria un'ellisse di goccioline, che svaniscono nell'atmosfera secca e alle narici si confondono con l'alito salmastro del vento di mare. Si sollevano dalla superficie marina lentamente, sfiorano la diga foranea con le loro pance pesanti e fluttuano tra i battelli ormeggiati, i capannoni delle fabbriche, i condomini. Si alzano fino alla cresta delle montagne - in volo sono pochi secondi - e virano per gettarsi a capofitto nelle gole ricoperte di nebbia grigia e lì spalancare le loro gabbie toraciche per generare - salata, contraffatta - la pioggia. Giureresti di non vederli più venire fuori. Aspetti il botto da un momento all'altro.






