Ci sono giornate in cui sembra di non contare proprio nulla, in cui ci si sente al centro di una ragnatela di fili di cui nessun apice è nelle nostre mani. Intrappolati come conigli presi al laccio, con il ventre stritolato dai cavi, gonfiamo il torace per far spazio ai polmoni e pensiamo solo a resistere, un respiro alla volta. Ci schiacciamo a terra, lasciando al mimetismo tutte le nostre speranze. Nel frattempo, sopra le nostre teste soffiano i venti più terribili, che ci bruciano sulla pelle come se trasportassero sabbia. Erodono piano piano ogni involucro del nostro corpo, scuotendo i muscoli, schiantandosi sulle ossa, annichilendo i nostri sensi coi loro boati. Solo il cacciatore sa dove siamo, e solo lui può liberarci. Un paradosso che le nostre menti ubriache di panico non riescono a risolvere.
Ve la meritate la disoccupazione, dice il mio capo in modo che solo io possa sentire. Ecco da dove viene la disoccupazione in Italia, dalla vostra pigrizia, dalla vostra stupidità, dalla vostra incapacità di lavorare per davvero, di essere dei professionisti in qualcosa, in una cosa qualunque. Io rimango rintronata dalle sue parole, dalla loro crudeltà, dalla loro volontà di ferire. Non ci si aspetta mai un intento così chiaro, così manifestamente diretto a far male. Siamo sempre più portati a muoverci nel grigio delle ambiguità, piuttosto che nel bianco o nel nero. Pensiamo che anche per gli altri sia così.
Oggi è il giorno in cui mi spettano le consegne. Salgo sulla bici e pedalo con le gambe indolenzite dal calore della cucina, gonfie di umidità corporea. Inseguo un filo d'aria per le vie strette di Bologna, senza che riesca a togliermi la sete di ossigeno. Sento le guance incresparsi precocemente di rughe, e maledico tutto, la città, il lavoro, la mia squallida età mezzana, tempo di intervallo tra le epoche vere, quelle che in passato di scioglievano l'una nell'altra quando il lavoro e i figli giungevano senza che in testa si avesse ancora un capello bianco. Ora è un solo un tempo in cui non ci si raccapezza, e si sperimenta una povertà pari solo a quella dei nostri nonni, a quella che i nostri nonni credevano di avere deposto insieme alle armi e che invece hanno ritrovato da vecchi, rovistando nei cassonetti, scavando negli armadi alla ricerca di un vecchio grembiule.
Finisco il mio turno, lascio il denaro su uno scaffale accanto all'uscita sul retro. Forse è meglio se me ne torno tra i disoccupati, dico al mio capo, visto che sembra essere quello posto che fa per me. Mi sembra giusto scegliere una frase teatrale, mi sembra più che corretto pronunciare qualcosa di maestoso mentre con uno scatto di addominali e un colpo delle zampe posteriori mando in pezzi la trappola. Il mio datore di lavoro mi chiama mentre sono già sulla bici. Non ce l'avevo con te, dice. Ce l'avevo coi pakistani. Mi chiedo se gli insulti che gli ho rivolto bastino ad emettere una diagnosi di dignità, se mi permettano di indossare, almeno per qualche ora, il fard vermiglio dell'orgoglio e di fingere di aver ottenuto una piccola vittoria, di fingere quasi di non averla ottenuta solo per me.
Per oggi bastano, concludo. Bastano quasi.
Ti lascio un abbraccio perché uno sfogo così duro e sentito non può non essere accolto. Che parole dure ha detto il tuo capo, inutili anche se rivolte a qualche extracomunitario. La disoccupazione è un incubo. Noi non la meritiamo.
RispondiEliminaGrazie Carolina! Abbraccio più che apprezzato :)
EliminaC'è più dignità umana in una virgola qualsiasi di questo testo di quanta se ne possa trovare in un milione di involucri d'uomo come il tuo capo.
RispondiEliminaTi basti questa sproporzione per sapere che hai già vinto, soprattutto per chi crede di aver perso, ma continua a lottare.
grazie di cuore,
mattpumpkin
Grazie a te :°)
EliminaE' tutto così triste, così maledettamente amaro. "Il lavoro c'è, siete voi che non ne volete sapere". Quante volte l'abbiamo sentita questa frase, questo schiaffo vigliacco sulla nostra fragilità? E allora prendiamo quel che capita, cercando di non pensare alle occasioni che forse ci sono sfuggite per colpa nostra e soffocando nella solitudine della sera l'ingiustizia che sentiamo di subire quotidianamente. Io dico che possono negarci tutto, compreso il futuro, ma non la dignità. Su quella si fa la guerra.
RispondiEliminaciao domenico, io invece dico che a partire dalla dignità dobbiamo riprenderci tutto, e anzi prendere anche di più
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