Incontro T. mentre sto passeggiando per il mercato della Montagnola. Gli chiedo come sta, mi risponde non tanto bene. Ho un brutto male. Lo ascolto. Sono ricoverato al Giovanni XXIII, almeno mi danno un tetto sopra la testa.
Non so che dire, cerco un suggerimento qualunque sul suo viso. Ma è tranquillo, dice lui, rispondendo alla mia faccia piena di domande autoreferenziali. Non ha l'aria dispiaciuta in effetti. E' sempre stato terribilmente magro, rugoso e senza denti, ma è un barbone e non c'è da stupirsi. Fuma la sua sigaretta e sorride. Davvero, ripete, è tranquillo. Hai visto che è morto Lucio? Ho visto, gli dico, mi è dispiaciuto moltissimo. Tu lo conoscevi bene? Certo che lo conoscevo, dice. Andavo sempre alla cena che lui è Guccini offrivano al Napoleone ogni anno per i barboni.
- T. ha sempre usato quella parola, non l'ho mai sentito dirne un altra. Molti preferiscono non usarne nessuna -
Erano cene bellissime, continua, si mangiava meravigliosamente e alla fine del pasto luculliano salivano sul palco e iniziava il concerto. Non solo: prima di andare via ti davano un cestino con ogni ben di dio e ti mettevano in mano cinquantamila lire a testa. Non lo sapevo, dico.
T. mi racconta ancora di Lucio, dei suoi esordi melodici e dell'arrivo del successo poi, negli anni '70. Dei suoi vestiti strambi e della sua vita privata che, però, è privata. Nel periodo della miniacampada di Piazza del Nettuno passavamo molto tempo insieme. E' stato lui a raccontarmi di quando le panchine in Piazza Grande c'erano davvero, e persino i lampioni. Era una meraviglia la piazza, allora.
In quei giorni, veniva a dare il cambio la mattina presto a chi aveva dormito fuori - lui stava in un rifugio - e impezzava la gente che si avvicinava alla nostra piccola biblioteca di strada, invitandola alle assemblee. Ha sempre avuto la voce roca e il respiro corto, ma in realtà di fiato dimostrava di averne parecchio.
Continuo la mia passeggiata, mi dice. Stai bene, gli dico io, schiacciata dai miei imbarazzi. Non ti preoccupare, tengo duro. Ok, T. Ci vediamo in giro.
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