Ultimamente però mi sono imbattuta in un'incredibile tipo di impresa, nella quale i miei due ambiti lavorativi riescono a fondersi producendo un ibrido tanto inquietante quanto follemente efficace: i siti che offrono la possibilià di ordinare il cibo via web. I geni del male che se li sono inventati sono riusciti in un compito apparentemente impossibile da realizzare: costruire una mediazione plausibile e redditizia tra l'affamato consumatore e il ristoratore. In un passato ormai lontanissimo - tipo 3 o 4 anni fa - per mangiare una pizza era necessario sollevare la cornetta del telefono, confessare i propri desideri alimentari a una frettolosa e accaldata lavoratrice - quando non, addirittura, a un Maghrebino con un disdicevole accento - e poi attendere l'arrivo della consegna. Oppure, nella preistoria, bisognava recarsi fisicamente alla pizzeria sotto casa e aspettare con le braccia conserte che la pietanza uscisse dai forni.
Nel secondo decennio del terzo millennio il consumatore non deve affrontare nulla di tutto questo, né deve interrompere la sua quotidiana corvè su Farmville o la sua sessione serale di Chat Roulette per avere a casa del cibo. Gli basta collegarsi a un sito come PizzaBo, CosaOrdino o simili per ordinare online, "in 3 click", la cena, eliminando il fastidio del contatto umano e risparmiando il costo della telefonata. Inoltre dopo un certo numero di ordini si può avere accesso a notevoli sconti sulle ordinazioni.

Gli inventori di questo tipo di impresa - veri interpreti dello spirito degli anni '10 - sono riusciti ad inserirsi in un sistema semplice e lineare come quello che conduce il cibo da asporto da chi lo cucina a chi lo consuma, solleticando proprio la pigrizia, l'alienazione, lo svacco che internet sa far emergere in tanti navigatori. Mi aspetto che prossimamente Riccardo Luna dedichi almeno 4000 battute a questi startuppers di innegabile talento, che sono stati capaci di costruire un business a partire da qualcosa di apparentemente tanto poco redditizio. Loro sono Innovazione certamente più di Groupon, che prevede ancora - come in un inspiegabile rigurgito di Medioevo - di doversi recare fisicamente sul luogo di preparazione della cena, avendo a che fare con camerieri, cuochi, grissini impacchettati e quant'altro, e stazionando a volte per ore al di fuori della Rete, che tutto mette a profitto.
Ovviamente, questi pionieri non regalano i frutti della loro creatività, ma li vendono a caro prezzo. Per un ristoratore entrare a far parte di uno di questi network significa sborsare diverse centinaia di euro e donare ai creativi il dieci per cento del proprio fatturato. La tecnologia degli anni '10, nei luoghi dove il cibo si prepara, non appare nella forma di un sito internet minimal ed efficiente, ma si materializza come una scatoletta dotata di un allarme in tutto identico a quello di un sistema anti-incendio (e immaginate la positività delle reazioni che genera nei lavoratori), e di una minuscola stampante che sputa l'ordine nelle cucine. Alla ricezione dell'ordine il lavoratore deve indicare, schiacciando un apposito pulsante, i minuti di attesa, mentre chi si trova dall'altra parte deve decidere se accettare o meno la tempistica. E' questo, fino al momento della consegna, l'unico contatto tra i due. E mentre la pizza, nella sua inequivocabile fisicità, giunge insieme al fattorino a destinazione, il dieci per cento del suo valore viene metabolizzato nelle viscere della rete.
lo vedo Luna esaltato dagli startuppers della cyberpizza :)
RispondiEliminaForse questi startuppers non sono ancora abbastanza famosi per meritarsi le sue lode sperticate, ma scommetto che Candido l'Innovazione non se li farà sfuggire ancora a lungo.
EliminaHo da fare una rettifica: la percentuale che i creativi si magnano non è del 10, ma del 12-13%