La mia amica S. conosce sei lingue. S’è laureata con il massimo dei voti e dignità di stampa della tesi, dopodiché ha tentato diversi dottorati, venendone sempre respinta perché incapace di portare in dote l’aggancio giusto. Dopo un anno trascorso tra volontariato, ulteriori corsi di lingue e pellegrinaggi all’università nel tentativo di vedere finalmente pubblicata la sua tesi, ha trovato un master. Un master di cui la Regione promette di rimborsare le spese, studiato per operatori del campo socio-sanitario ma affollato da laureati in lettere, scienze politiche, lingue.
Dopo due anni di corsi di basso livello e un tirocinio speso a girarsi i pollici, ha risolto la questione master con una discussione di tesi superficialissima e l’invio dei moduli per il rimborso. Nel frattempo, ha vinto il bando per il Servizio Civile.
Ora, a ventisette anni, S. fa l’educatrice a 400 euro al mese grazie alle risorse di un programma statale che, in origine, aveva lo scopo di consentire ai giovani obiettori di adempiere ugualmente al “dovere costituzionale di difesa della Patria”.
Lei sa tante cose, tantissime, ma non sa proprio essere una buona candidata per un selezionatore di risorse umane: è troppo dura e acuminata per loro. Non possiede quel misto di candore adolescenziale e autodisciplina che il mondo del lavoro pretende da noi giovani disoccupati. Come ginnaste impegnate a governare l’imprevedibile fisica dei nastri, esso ci desidera eteree, leggiadre, sorridenti, dotate di una bellezza innocua e di un ferreo controllo su noi stesse.
Ci sono persone, come S., che non si avvicineranno mai a questo standard, ma che non possono semplicemente essere messe alla porta. Sono il frutto della democratizzazione dell’istruzione universitaria, figlie della classe media che hanno seguito un percorso di studi spesso di alto livello, con risultati brillanti: sono l’orgoglio di papà. Così perfette fino al conseguimento della laurea, così inadeguate immediatamente dopo, lo Stato non può semplicemente abbandonarle a loro stesse, perché ciò equivarrebbe a dichiarare la sua sconfitta, a strappare il velo sulla sua ipocrisia. Inoltre, se qualcuno deve essere testimone delle voragini che si aprono sotto il cerone del sistema, meglio che sia un ignorante, un criminale o un clandestino. Non certo loro.
Su di loro bisogna gettare acqua, far spillare sulle loro testa un rivolo fresco; sistemarle anno dopo anno, parcheggiarle di progetto in progetto perché si tengano impegnate fin quanto l’età, qualche provvidenziale conoscenza, un colpo di fortuna – o dei figli – le renderanno incapaci di nuocere. Farle lavorare nel sociale, perché tanto è la loro natura, non chiedono altro: procurargli un disabile, un bambino disagiato, un anziano di cui possano prendersi cura. Poi si sposeranno, erediteranno una casa magari, si inseriranno al posto di qualcuno che andrà in pensione, con stipendio ridotto e fondi dimezzati, perché con i tempi che corrono.
Se non ce la fai con le aziende, ti facciamo passare dalla porta di servizio: per non farti venir voglia di cambiare le cose, ti appuntiamo subito al petto la coccarda di anima bella, così penserai di essere già dalla parte giusta. Lo Stato è quello del Servizio Civile e del welfare, mica quello delle leggi per la precarizzazione del lavoro, degli accordi bilaterali con dittatori psicotici per favorire le imprese nostrane, dei tagli alle pensioni, alla sanità, alla scuola. Quelli sono cose che capitano, è colpa di Berlusconi, della Gelmini, del bunga bunga. Noi in realtà siamo diversi.
Cazzo, Adri devo smetterla di leggere il tuo blog, vedo il mio futuro più nero di quanto già non lo vedessi prima dato che se è andata così a S. non so proprio che ne sarà di me che sei lingue non le so e non mi sono laureato molto brillantemente (95/110 alla triennale ed una laurea magistrale in scienze dello spettacolo che temo non andrà meglio quando la conseguirò), insomma so meno cose di lei..la democratizzazione dell'università è stata giusta (ne ho beneficiato anch'io che sono figlio di un operaio e di una maestra), il problema però ora è che siamo pieni di laureati e non ci sono abbastanza posti di lavoro in linea con ciò che abbiamo studiato e se ci sono vanno a chi ha raccomandazioni (io non giudico i raccomandati, nè mi sento migliore di loro, sia chiaro)..il servizio civile potrebbe essere una possibilità anche per me , ma sinceramente non so se avrei la pazienza necessaria per occuparmi di una persona disabile. Credo comunque che sarebbe un'esperienza formativa almeno dal punto di vista umano.
RispondiEliminaComunque se mi conosco abbastanza, dovrei essere meno "acuminato" e più "candido" di S, ma non so se sia una cosa di cui rallegrarmi
Sulla questione del Welfare che serve a tenerci buoni, mi pare che Don Cave avanzi una riflessione simile...certo c'è del vero...il guaio è che manco quello funziona e come fai notare lo tagliano sempre più con la scusa della crisi...forse quando saremo sull'orlo della miseria ci ribelleremo come in Nordafrica e cambieranno le cose anche se non so come e non so neanche cosa farò io.
Ma forse divago, chiedo scusa se invece che parlare del post ho parlato di me e posso solo augurare tanta fortuna a te e a S.
Ciao
Paolo, non ho certo aperto questo blog per intristire la gente! Non deprimerti!
RispondiEliminaIo credo che il vero problema sia che tanti neolaureati, presi nel vortice del "oddio cosa faccio, uno su tre è disoccupato, ho sbagliato a studiare lettere" caschi nella rete dell'ideologia malata che Cip, aziende, agenzie varie ecc cercano di inculcarci. Io tento di smontare quell'ideologia, perché è, appunto, malata: ha lo scopo di tenere in piedi un sistema ingiusto e per di più moribondo, a spese della maggior parte delle persone (tra cui noi neolaureati). Cascandoci, non ne avremo dei vantaggi perchè finiremo a fare stage, lavori co.co.pro. ipersfruttati, partite IVA ecc. L'unico modo che abbiamo per riprenderci un po' di dignità e anche di soldini (perché attualmente per noi non ce n'è proprio) è metterci in testa che bisogna cambiare le cose.
Il problema, almeno per me ma credo che per tanti sia così, non è tanto il fatto di non trovare un lavoro in linea con quanto abbiamo studiato (io ho scritto una tesi sulla letteratura di guerra iraniana, orsù!), quanto il fatto che per noi non c'è un lavoro in linea con una vita decente, in generale. Io farei la commessa più che volentieri, ma sono considerata troppo vecchia (ho 26 anni), troppo titolata e se anche riuscissi ad essere assunta finirei con ogni probabilità in una grande catena che mi farebbe lavorare su turni massacranti, in cui quelli che stanno sul gradino immediatamente superiore al mio hanno il compito di umiliarmi affinché non mi affezioni al posto e me ne vada al termine del primo contratto. Oppure in un call center, idem. In un supermercato, idem...e via dicendo.
L'alternativa a non accettare tutto questo beh...secondo me è folle.