mercoledì 16 marzo 2011

Due su tre

Mentre mi trovo al quarto, ultimo, laboratorio del Cip, mi chiedo in quale altro paese al mondo si utilizzano i dati sulla disoccupazione per motivare una platea di neolaureati disoccupati. Sono assolutamente convinta che la situazione attuale non sia il frutto dei soliti mali italioti – la disorganizzazione truffaldina, le meccaniche para-mafiose, le incrostazioni partitiche e via ad nauseam – ma rientri in un disegno globale che si propone il pianificato impoverimento della popolazione a favore di un elite di ricchissimi. Ma questa cosa qua, questo particolare tipo di follia, mi sembra davvero tutta nostra.

In Italia i problemi non si risolvono, si gestiscono. E’ un adagio risaputo, ma che continua a lasciarmi a bocca aperta. “Se avete letto i giornali”, ci dice l’insegnante, “sapete che un giovane su tre è disoccupato. Bene, voi dovete fare in modo di essere tra gli altri due!”. La cosa straordinaria di lei, questa donna marziale ed efficiente, con la voce schiacciata sulle note basse da decenni di tabagismo e il taccuino di Unindustria tra le mani, è che non mente. Riversa sul tavolo la verità, professionalmente, come fa solo chi abbia una fede profonda e informata. Ci spalanca le porte della cultura aziendale con una generosità bruta, da donna d’azione che si sente a suo agio nel boato incessante degli ingranaggi, meno nella molle apatia del mondo esterno.

Per riuscire nell’impresa, per essere parte della frazione fortunata, dopo tre laboratori sappiamo già cosa dobbiamo fare. Corteggiare il selezionatore, trasmettergli il nostro entusiasmo e la nostra energia: lui ha bisogno di sentirsi gratificato. Sul posto di lavoro, fare tutto ciò che ci viene richiesto, senza domandarci se si tratta di qualcosa che ci compete o meno. Non abbandonare i nostri sogni, che quelli ci rendono belli e focosi, come in uno di quei reality sulle scuole di danza; è quella la gioventù che i selezionatori di risorse umane, evidentemente accaniti divoratori di programmi trash, desiderano incontrare ai colloqui.

Il terzo che rimane fuori non esiste, non è un nostro problema, non ci riguarda. Né tantomeno riguarda i selezionatori, che hanno il potere di decidere in quale fetta della torta staremo. Il terzo è irragionevole, è scansafatiche, è colpevole. Loro sono realisti, parlano di cose concrete, non di utopie irrealizzabili. Perché il mondo va così.

Eccola, la lezione di oggi: diventate parte di quei due, in qualunque modo. Andate all’estero, fatevi raccomandare, fatevi il culo come stagisti. Chi l’ha detto che dovete restare qui se non vi piace come vanno le cose? Andate in un altro paese, fatevi assumere lì, quando tornerete non sarà cambiato nulla ma voi sarete più appetibili. Perché qui non cambia mai nulla.

Quella torta bicolore, con il suo spigolo di centoventi gradi, è una verità implacabile, che ricadrà immancabilmente su di noi, come una trappola per animali. In una sezione del recinto ci raseranno il pelo ma avremo fieno e acqua a sufficienza; nell’altra, ci toccherà ruminare la poca erba che ci allungheranno i passanti in cambio di un belato e di una toccatina al nostro mantello morbido. Bisogna cercare di trovarsi dalla parte giusta.


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