lunedì 7 marzo 2011

Rapporti di potere

Stamattina mi presento al colloquio di orientamento al Cip. Quando arriva il mio turno, un uomo sui sessantacinque mi incita, con l’aria boriosa del padrone di casa, a seguirlo alla scrivania.

Dopo qualche battuta di presentazione, gli parlo di un percorso di “working experience” che avevo avviato con il Cip della mia città natale, che prevedeva – forse, un giorno, se ci sono i fondi – una possibilità di stage retribuito. Gli chiedo se sarebbe possibile spostarlo a Bologna, dato che ora vivo qui. L’impiegato sgrana gli occhi, certamente colpito dagli innumerevoli errori logici che ho compiuto: “Non vedo proprio come ciò possa accadere”, mi dice, guardandomi con il disprezzo penoso che si riserva ai pazzi. “Non so come funziona a Savona”, continua tra il divertito e il seccato, “qua noi non ci comportiamo così”. Mi ero illusa che tra Cip ci si parlasse, invece a quanto pare si tratta di entità solitarie, separate tra loro da un abisso ontologico di cui io, capra ignorante, non avevo neanche scorto l’ombra.

Lascio cadere l’argomento, leggermente turbata e, soprattutto, desiderosa di abbandonare al più presto alla sua scrivania lo stronzo che mi trovo davanti. Inizio a esporre i miei titoli di studio, tranquillamente, come una che parla a un impiegato che deve inserire quei dati in un computer. Il tizio mi sorride, bavoso, squadrandomi: “Perché fa così?”, mi chiede. E io, “cioè?”. “Perché ne parla così, senza valorizzarli. Lei deve valorizzarli, dimostrare energia, entusiasmo. Altrimenti non l’assumono”. “Scusi, ma questo non è un colloquio di lavoro”, dico, divertita e seccata a mia volta, “oppure lei mi sta offrendo un impiego e io non lo so?”. “E’ una simulazione di colloquio”, mi dice; poi, di fronte alla mia espressione sbalordita, si corregge: “è un colloquio di orientamento, però…”.

I ragazzi che hanno iniziato il colloquio insieme a me, nel frattempo, cominciano ad andarsene, salutati da impiegate gentili e solerti. Il tizio, invece, attacca la solita ramanzina sull’importanza di trovare i punti di forza, capire il mercato, sapersi proporre. L’incontro prosegue in questa modo: io che cerco di parlare razionalmente del mio curriculum e delle mansioni a cui posso ambire, lui che mi interrompe, mi sputa addosso consigli e giudizi di merito, mi osserva, mi sorride con il sorriso di chi è più potente.

La discriminazione è qualcosa di difficile da descrivere, perché non balza agli occhi, non risalta sullo sfondo. Se ci si finisce dentro, si capisce solo che la bilancia, a un certo punto, inizia a pendere da una parte che non è la nostra, senza che ci sia un vero perché. Si percepisce che il margine di movimento, per noi, è incredibilmente ridotto. Che ci troviamo in un luogo in cui l’unica mossa possibile per uscirne integri è ribaltare il tavolo.

L’impiegato del Cip voleva che facessimo il gioco “io sono il capo canuto (ma che ancora ci da) e tu la candidata che mi deve convincere”. A quanto pare, ero sufficientemente giovane e piacente da solleticarlo, e tanto bastava. Quando ho cercato di riportare la conversazione su binari ragionevoli, ha reagito sostenendo che io stavo “mettendo in dubbio le sue capacità professionali”, e mi c’è voluto un po’ prima che si decidesse a rivolgersi a me con un tono che, almeno alla lontana, corrispondesse al suo ruolo.

Ribaltare il tavolo, non ne ho avuto il coraggio. Ho cercato di liberarmi del tizio più in fretta possibile e sono corsa via, portando con me la rabbia e la frustrazione. Credo sia quello che accade, purtroppo, nella maggior parte dei casi. La discriminazione, come ho detto, di rado è qualcosa che si staglia sullo sfondo, ma anzi calza sorprendentemente bene al resto dell’ambiente, come una lampada su un comodino, una cravatta su un abito da uomo.

L’impiegato del Cip non è solamente un vecchio porco sessista: il suo sessismo è ragionevole, è adatto ai tempi, è violento ma di una violenza saggia, che tempra ed educa. E’ una copia – un po’ fuori posto, ma mica tanto – di quello che si trova ovunque, in ogni circostanza in cui è necessario che i rapporti di potere siano chiari, ben definiti, limpidi. Proprio come nel mondo del lavoro.

4 commenti:

  1. Scusa se mi permetto, ma il tizio (almeno dalla descrizione che ne fai) più che sessista mi sembra un vecchio rompicazzo pomposo..grosso modo credo si sarebbe comportato nello stesso modo pure con me (forse m'avrebbe squadrato un po' meno). Comunque, non farti troppo il sangue amaro, sono certo che il prossimo colloquio andrà meglio. Curiosità: ma i Cip sono i Centri per l'impiego?
    Tu almeno ti dai da fare, io ti confesso, sono indietrisimo con la tesi (che chissà quando finirò) e non mi do da fare come dovrei per trovare lavoro.
    Per quel che vale, ti faccio i miei auguri.

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  2. Ciao Paolo, grazie per la visita!
    Il tizio era un impiegato del Centro per l'impiego (CIP abbreviato) che si occupava di inserire i miei dati nel loro database, quindi non si trattava di un colloquio di lavoro. Lui, però, ha cercato di farlo diventare quello, per godersi il brivido di potere che gli dava la cosa. Ti assicuro che l'aspetto discriminatorio c'è, eccome. Se non è discriminazione di genere (e lo è) è "solo" discriminazione per età. I neolaureati, specialmente in materie umanistiche, godono (si fa per dire) di una considerazione particolare in quell'ambiente, e nel mondo del lavoro in generale. Se ne hai voglia, dai un'occhiata agli altri post, cerco di darne - per quello che ho potuto vedere io - un'idea.
    Grazie per gli auguri, ricambio con un in bocca al lupo per la tesi!

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  3. credo che sia lo stesso tipo che ho avuto io.
    non sperare nel CIP: denunciato da altri (e quasi confessato da loro stessi a me) ... sono solo delle mega banche dati.
    insomma ... un altro posto dove il nostro cv giace ivi privo di vita.
    qui urge vederci.
    la tua compagna bionda e riccia

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  4. io non ci spero (anche perchè ho già esperienza con il cip di savona), però è interessante.
    fammi sapé comagna!
    a plus!

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