Questo post nasce a quattro mani, ma vorrei che ne coinvolgesse molte di più. Nasce da una lunga telefonata, finita quando è finito quel poco credito comprato con i soldi guadagnati via paypal, grazie a uno sconosciuto spagnolo che paga i miei articoli un centesimo di dollaro a parola.
La rabbia non da buoni consigli, dicono, e il sangue freddo è meglio di quello caldo. A me sembra che i nostri peggiori consiglieri, attualmente, siano sentimenti ben più civilizzati e modesti. L’apatia, per esempio, la sensazione di essere troppo piccoli di fronte a un’enormità, di avere le mani legate, di essere soli ad affrontare l’imponderabile. Siamo sfiniti dalle frustrazioni e dalla bruttezza di ciò che ci circonda. L’apatia è un sentimento lucido, è saggia e razionale, per questo è una condanna così difficile da ribaltare. Sappiamo che non ci porterà niente di buono, ma sappiamo anche che è giusta, proporzionata e pesante di motivazioni inoppugnabili.
L’horror vacui è un’emozione a prima vista meno negativa, perché si abbina perfettamente alla morale in cui siamo immersi. Persino l’estetica del nostro mondo ne rispecchia i principi. L’horror vacui è barocco, è il sentimento di un’epoca fiorente e produttiva, piena di sane aspirazioni. E’ ciò che rende il nostro mondo e noi stessi così dinamici e assetati di cose nuove, che ci fa sentire vivi.
Il panico ci coglie quando scopriamo di essere in realtà disorientati, insicuri, incapaci di tenerci saldi e di mantenere il controllo sul nostro minuscolo, fragile timone. Dicono che se ne sia avuta una vera e propria epidemia a partire dalla seconda metà del ‘900. In quel caso, come per la televisione di Berlusconi e le merendine, siamo nati dentro il suo tempo; come si vivesse prima possiamo solo farcelo raccontare.
Come formiche guidate da una chimica di impulsi irrefrenabili, ci affatichiamo alla ricerca del nostro chicco di grano, della nostra particella di mondo da caricarci in spalla. Brulichiamo impazziti tra lavori che odiamo, corvée dagli sbocchi più o meno illusori, stage da affrontare con spirito da pitbull addestrati. Ci accontentiamo di una cosa qualunque, basta che ci faccia sentire impegnati e che ci dia l’impressione di essere capaci di guadagnarci il pane. Ci sbattiamo anche, per averla. Ci sottoponiamo a lunghi training per apprendere il nulla, ci facciamo rimproverare da qualunque saltimbanco abbia un briciolo di potere in più di noi, compiamo abominevoli sforzi di autodisciplina per assomigliare a quello che gli altri ci suggeriscono. Finiamo inghiottiti per mesi e anni, dentro uffici nei quali ci manca il respiro e in cui non siamo nulla, se non ingranaggi di macchine inutili, buone solo a issare in alto pezzi di ruderi di un tempo andato, per farli pendere sulle teste del popolo lì fuori.
Tu rimuovi il problema. Proprio tu. Io? Proprio io.
Ma quale problema? Berlusconi? Lui sta cadendo, non lo vedi? Ha perso Milano e da mesi non fa altro che consumarsi le suole nel tentativo di frenare gli energumeni che, uno per braccio, lo trascinano via. La gente non ne può più, il vento sta cambiando.
No, non quel problema, l’altro. I preti pedofili? Il Ruby-gate? No, quella cosa che noi non abbiamo futuro, che non riusciamo neanche a tirare su i soldi per pagarci una stanza. Non una casa, una stanza. E quando ci riusciamo, è perché facciamo da tappabuchi in un’azienda, un’associazione, un negozio o un giornale che prima o poi ci butterà fuori, senza averci insegnato nulla, lasciandoci a piedi con l’angoscia di dover ricominciare tutto da capo. Ah quello? Beh sì quello è un bel guaio, però guarda a Napoli va al ballottaggio De Magistris.
Precario significa “ottenuto con la preghiera” e noi questo siamo: lavoratori per grazia ricevuta. I nostri miseri ex voto li fabbrichiamo ogni giorno, con la nostra fatica e gli anni che regaliamo per portare avanti le più inutili delle imprese, avendone in cambio solo la certezza del tempo che passa.
Che faremo quando smetteremo di essere “giovani” e non saremo più papabili per fare i commessi, i PR dilettanti, i segretari, gli scrittori a cottimo? Quando magari ci servirà qualche soldo in più di quella miseria con cui campiamo? Dai, ci penseremo più avanti, per adesso facciamo un altro corso di formazione, altri tre mesi di contratto, un altro giro coi curriculum.
Prendevo la terza media e andavo a fare il meccanico, mi dice il telefono.
Sulla meccanica io sto ragionando da qualche tempo (quella delle bici, però, che le auto non mi piacciono troppo).
RispondiEliminaChe poi, alla fine, a forza di lavorare in queste condizioni e continuare a pensarci su, ti sembra proprio che il lavoro, così com'è strutturato e pensato nella nostra società, non abbia assolutamente alcun senso, pur se concorre alla tua definizione sociale, che ti aiuta a collocarti, a relazionarti con gli altri, che in qualche modo di costruisce un'identità pubblica.
In questo momento non ho troppo la testa per ragionare. Sono giorni che ha descritto benissimo Pessoa:
Quello che c'è in me è soprattutto stanchezza
non di questo o di quello
e neppure di tutto o di niente:
stanchezza semplicemente, in sé,
stanchezza.
Mi limito quindi a lasciare un paio di link, cose che ho letto recentemente, per continuare a ragionare su queste cose.
Facebook e i Signori Grigi: http://www.doppiozero.com/materiali/fuori-busta/facebook-e-i-signori-grigi
Lamentazioni di una social-patica: http://www.minimaetmoralia.it/?p=4353
Oppure esiste un'alternativa sana che permetta di lasciar perdere tutto quello che descrivi tu e vivere bene?
Non che Yahoo scriva mai dei grandi articoli, questo peró (http://it.finance.yahoo.com/notizie/Le-storie-chi-scelto-vivere-yfin-798203723.html?x=0) é uscito proprio oggi (o almeno io l'ho letto oggi). Utopia o possibilitá concreta? Sta tutto nel cambio di prospettive, nel cambio (anche) radicale di mentalitá. E ovviamente no, non era questo che avevamo pensato del nostro futuro, né noi né i nostri genitori. Ma tant'é.
RispondiEliminaMolto interessanti i link e Momo a questo punto dovrò leggerlo per forza. Ho letto solo La Storia Infinita, due volte :)
RispondiEliminaL'alternativa più sana di tutte, credo io, è cambiare le cose. Mica facile, e come si fa, e chi ce l'ha il tempo ecc ecc...di obiezioni ce ne sono tante. Ciò non toglie che questa, a mio avviso, rimane la soluzione più intelligente :)
Oppure vivere in eremitaggio...però è proprio una cosa da psicopatici.
Ciao relaxdesign, grazie per il commento :)
RispondiEliminaBoh, ti dirò, io credo che la soluzione debba essere sempre costruita collettivamente. Che qualcuno scelga di vivere senza denaro lascia un po' il tempo che trova. E poi economicamente è insensato.
se precario significa ottenuto con la preghiera e visto il tuo vecchi post ... troviamoci per una novena :)
RispondiEliminatroviamoci per un aperitivo, che è molto meglio :D
RispondiEliminaLa parola chiave per uscire da questa situazione dovrebbe essere "comunità", ovvero ciò che nelle nostre società si è quasi completamente sbriciolato: l'atomizzazione e l'isolamento del post-fordismo ormai non sono più solo una caratteristica di noi lavoratori della conoscenza. Il problema è che per costruire legami comunitari stabili il lavoro è lungo e difficile. Anche nel caso di una soluzione di "fuga", in cui ci si allontani dalla società, la chiave è sempre la comunità, con le relazioni che contiene: da soli difficilmente si riuscirebbe a durare parecchio. (A me piacerebbe vivere girando il mondo in bicicletta, per esempio, ma ci vogliono un po' di soldi e di compromessi.) Anyway. Io non avevo pensato per il mio futuro nemmeno la mia attuale condizione di lavoro e nemmeno i nostri genitori immaginavano che avrebbero dovuto essere il nostro welfare per un bel po' di anni. E visto che "il futuro non è più quello di una volta", bisognerà trovare nuove soluzioni.
RispondiEliminaok. ti scrivo in privato
RispondiEliminaRobero, e se la parola chiave fosse "Comune"? http://www.carta.org/2011/05/la-comune-di-madrid/ :D
RispondiEliminaA parte gli scherzi, sono d'accordissimo con quello che scrivi, of course.
Bendy, attendo tue notizie.
hai ragione ... mo' te scrivo
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