lunedì 23 gennaio 2012

La rubrica culinar-precaria del lunedì: Occupy Nutella

Quale impresa migliore, per la seconda puntata di questa nuovissima e sperimentalissima rubrica culinar-precaria, che tentare l'arrembaggio alla dirigenza Ferrero, a quella carovana intagliata nel più fine gianduia che, nei sogni a occhi aperti di tanti esseri umani, avanza nell'Ovest inebriando le pianure con i suoi sapori e trasformando i venti in folate di profumi celestiali? Basta sentirne il nome - Nutella - perché il palato sprigioni un mare di acquolina e il cervello sintonizzi le sue sinapsi sulle frequenze della fame chimica.

Come tutti i sex symbol pompati dalla tv commerciale, anche la Nutella ha un retrogusto sospetto, un sentore di falsità. Forse un labbro rifatto, una chiappa photoshoppata, un'omosessualità sepolta per contratto dietro inequivocabili videoclip softporn fitti di modelle. Non poche sono le cose che non quadrano. Innanzitutto, la leggendaria untuosità, che la rende agile a spalmarsi sul pane quanto una sciolina al cacao, ma che allo stesso tempo fa sorgere nelle più recondite anse del nostro corpo - quelle in cui ancora sopravvive la coscienza dell'animale preistorico - il dilemma atavico dell'avvelenamento. La lingua si ribella al volere della mente civilizzata, e si dibatte goffamente nel tentativo di governare la sostanza dolce e bituminosa che sembra volerla avviluppare a morte. L'esofago, allarmato, urla ai ricettori del sistema nervoso di trovare dell'acqua per diluire il pericolo, e per far fluire il misterioso Venom vanigliato fino agli impietosi acidi dello stomaco. Ed è in uno spasmo di resistenza armata che, in certi apparati digerenti ancora memori di un alimentazione preindustriale, la Nutella viene annientata, mentre il ghiotto consumatore, alle prese con una fame pavloviana, agguanta di nuovo il barattolo e si spalma un'altra fetta. Non senza percepire però, in fondo al calice delle endorfine, una misteriosa quanto concreta inquietudine, la sensazione che da qualche parte, per prudenza, i fucili siano ancora puntati a tenere sotto tiro il cadavere del nemico.

In secondo luogo, il sapore cioccolatoso, in drammatica contraddizione con la presenza quasi solo omeopatica del cacao. In rete circolano voci secondo cui l'indubitabile cioccolosità della Nutella sarebbe dovuta a una lavorazione assai poco ortodossa delle nocciole, trasformate da semplici gusci di acidi grassi a contenitori di sapori del tutto sconosciuti alla natura. E qui veniamo al tasto dolente, al nervo scoperto della mia personalissima vicenda di vita, al richiamo del sangue per così dire, insito nel mio 50% di geni langaroli.

In quell'arricciamento di colline a ridosso delle Alpi liguri, dette Alta Langa - where I belong, almeno per il 50% - la nocciola è il prodotto agricolo più comune e più redditizio. La coltivazione di questo piccolo alberello deve il suo successo, almeno in parte, alla grande prossimità dei territori agricoli alle fabbriche della zona, e al fatto che tali fabbriche (in particolare l'Acna di Cengio) avessero completamente contaminato i fiumi di agenti inquinanti. A tal punto che non fu più possibile produrre vino.

La nocciola era inoltre più adatta alla vita dei nuovi contadini part-time, che lavoravano, appunto, in fabbrica, e arrotondavano con coltivazioni che non richiedessero un impegno quotidiano e grossi investimenti anche in termini di manodopera. La raccolta delle nocciole era un lavoro femminile. Gli alberi venivano semplicemente potati e mantenuti in salute con un minimo di concimazione e poi, quando i piccoli frutti iniziavano a cadere a terra, li si raccoglieva uno ad uno. Chi non riusciva a fare il lavoro con le sole forze delle donne della famiglia, si faceva aiutare da braccianti, sempre donne. Le nocciole finivano poi direttamente alla Ferrero di Alba, che rastrellava i suoi approvvigionamenti da decine e decine di piccoli e piccolissimi produttori dei dintorni.

Anche se mio nonno era inflessibile su questo punto, per la mia generazione e per quella di mia madre le nocciole sono sempre state una specie di hobby vagamente sportivo. E' talmente poco ormai quello che si guadagna dalla vendita, che si fa il lavoro per senso del dovere, perché tutto sommato all'ombra degli alberi non si sta male, e perché è un modo per stare insieme. In realtà è molto faticoso: i filari di nocciole sono andati quasi ovunque a sostituire le vigne, e per questo venivano piantati su pendii in cui mantenere l'equilibrio è quasi proibitivo, nei ritagli di colline impossibili da coltivare a grano perché, appunto, troppo scoscesi. Stare ore e ore piegate a raccogliere, con le ginocchia che devono reggere il peso del corpo, della cesta e dell'inclinazione, è un lavoro per gente robusta. Tanto più ad agosto, momento in cui le nocciole maturano e cadono e sulla Langa il sole è talmente abbacinante che la terra diventa bianca.

Quando posso, lo faccio io. In una corsa contro il tempo per raccogliere più nocciole possibili prima che cali la notte e, con essa, arrivino anche orde di scoiattoli ed altri roditori tenerissimi ma terribilmente voraci, riempio cestini su cestini mentre mia nonna, all'ombra sul terrazzo, setaccia con le mani il raccolto togliendo i frutti bacati o vecchi. E quando gli alberi sono molto produttivi - fatto che, lasciandoli praticamente allo stato brado, avviene una volta ogni due o tre anni - ancora cerchiamo di vendere ciò che avanza dal consumo familiare, indirizzando il nostro surplus al mercato su cui si rifornisce la famosa Ferrero. Dopo giorni e giorni di raccolta a mano negli ultimi anni il ricavato era veramente una miseria. Ed ecco, quindi, questa ricetta, resa dolce dallo zucchero, dal cioccolato, dalle nocciole della Langa ma anche, ammettiamolo, dalla vendetta e dall'orgoglio della ghiottoneria indipendentista. Occupy Nutella! Reclaim the nuts!

Nutella indipendentista e auto-solidal

Ingredienti:

- 50 gr di nocciole tostate spellate
- 30 gr di cacao
- 30 gr di cioccolato bianco
- 350 ml di latte fresco intero
- 70 gr di zucchero

La ricetta è scopiazzata da questa che vorrebbe anche la lecitina di soia. Se l'avete in casa mettetela, se come me non ce l'avete amen. Dunque per prima cosa si frullano le nocciole ottenendo una farina oleosa (e che rimarrà anche un po' granellosa perché le macine della Ferrero nessuno di noi ce le ha in cucina credo) e profumata assai. Poi la si mescola con il cacao, un cucchiaio di zucchero e un circa 100 ml di latte, fino ad ottenere una crema il più possibile omogenea. Nel frattempo si mette il resto del latte, dello zucchero e il cioccolato bianco sul fuoco, finché il cioccolato non si scioglie (consigliato pentolino antiaderente). A quel punto si aggiunge la crema al cacao e nocciole e si fa andare a fuoco molto basso, mescolando. Prima però trovatevi qualcosa di interessante da ascoltare o da guardare, perché la Nutella indipendentista ed ecologica richiede tempo, circa mezz'ora. Ma è un piccolo prezzo in confronto a quanto state per guadagnare: la libertà.

Da ora in avanti, infatti, quando al supermercato vi troverete davanti alla schiera serrata degli ignobili barattoli potrete affermare: la guerra del popolo contro Nutella non è ancora vinta, ma nel duello, modestamente, ho spaccato. Come estremo sfregio, è raccomandabile utilizzare per la vostra personalissima e vera crema al cacao e nocciole un ex-barattolo di Nutella, su cui scrivere rivendicazioni e ingiurie indirizzate contro il neoliberismo e l'oppressione. Free nuts!


PS: ricetta non adatta a coloro che hanno una passione perversa per il sapore della Nutella tal quale. A loro, non senza provarne pietà, consiglio se vogliono risparmiare e boicottare Ferrero di comprare direttamente un barile di olio di palma.

2 commenti:

  1. Non si finisce mai d'imparare. Da diversi anni sono vegano, e compro delle creme di nocciola fatte senza latte, ma con molto più cioccolato rispetto alla Nutella. Secondo me sono molto migliori, anche se ovviamente costano di più. Pensavo di aver fatto la scelta giusta, e di aver "fregato" la Ferrero. Ma non sapevo che molti terreni per le nocciole sono nella zona dell'ex ACNA di Cengio. Spero di non beccarmi una bella dose di residui industriali dalle nocciole delle mie costose creme "bio".

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    1. Il problema dell'inquinamento della Val Bormida è stato molto serio quando l'Acna era attiva, e scaricava nel fiume. Per dire, quando era in funzione la Bormida di Cengio cambiava colore a seconda della tipologia di colorante in produzione. Ora però la fabbrica è chiusa dal '99.
      Bah, se può rassicurarti la zona è piena di ultranovantenni, compresa mia nonna :)
      Di quelli che lavoravano nei reparti produttivi della fabbrica, però, quelli che sono invecchiati in salute sono pochi.

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