giovedì 26 gennaio 2012

Sociologia del volantinaggio porta a porta

Fare volantinaggio non sarebbe un lavoro brutto in sé, specialmente per una ficcanaso come la sottoscritta. Ci si può infilare dietro i portoni, esplorare i cortili e gli androni, sbirciare scorci di case, passeggiando senza troppi pensieri e anzi con l’occasione di mettersi qualche soldo in tasca.

Succede però, come sempre, che la realtà non corrisponda affatto alla teoria, e che il potenziale piacevole di un lavoretto onesto e di poca fatica svanisca nel nulla. La volantinatrice o il volantinatore neofiti, dopo i primi minuti di assestamento nella mansione, si ritroveranno ad osservare con timore la lista dei nomi incollati ai citofoni, e a ponderare con cura la scelta dei pulsanti da premere. Per scaramanzia, citofoneranno a quelli che gli ricordano storici leader e intellettuali del movimento operaio, come Gramsci e Malatesta, e giungendo persino ad accontentarsi di nomi più comuni ma meno promettenti, come Franceschini o Bersani. Oppure sceglieranno aggettivi che ispirino benevolenza, come Pacifico, Sereni, Buono, quando non si lanceranno direttamente, incrociando le dita, su Speranza e Pregaddio. Al momento di definire se stessi, rassegnatamente, come “Pubblicità”, adotteranno un tono di voce a metà strada tra il rammarico per il disturbo arrecato al citofonato e la fermezza della necessità. I più audaci simuleranno persino gli acuti anni ’80 dei venditori piramidali, confidando nella possibilità che tramortiscano le casalinghe vogheresi eventualmente trasferitesi nei paraggi.

La volantinatrice e il volantinatore più esperti hanno già elaborato a mente, durante le prime giornate di lavoro, dettagliate statistiche che li aiutano non poco nell’interpretazione della strada e dei palazzi a cui il capo li ha indirizzati. Potrebbero stilare paper sociologici su un quartiere con una sola occhiata agli intonaci e alla calligrafia dei nomi scritti sul citofono. Conoscono le tecniche per proteggersi, almeno un poco, dagli inquilini irascibili e per evitare di compiere quel gesto scellerato che obbliga immancabilmente a oltrepassare la linea che divide i buoni volantinatori dai cattivi: lasciare il materiale fuori dal portone, nelle apposite cassette con sopra scritto, in caratteri cubitali, “Pubblicità condominiale”. Nossignore, troppo facile. Il fulcro di questo marketing su suola non possono in nessun modo essere quei ricettacoli di spazzatura evidentemente incapaci di recapitare alcun messaggio. La meta dell’atto del volantinare porta a porta sono, senza alcuna delega, le cassette della posta e dopo di loro le ambitissime mani dei consumatori, i tavoli delle loro cucine, i mobiletti su cui tengono i telefoni e appoggiano le chiavi appena entrati in casa. E i consumatori vengono inevitabilmente identificati dai datori di lavoro alla ricerca di nuova clientela nella classe media. Lasciando perdere le campagne pubblicitarie a tappeto che, per ovvie ragioni, compiono supermercati e megastore dell’elettronica, le zone che vengono battute quando si sponsorizza una piccola attività sono sempre quelle di residenza del ceto che da generazioni ricopre il ruolo di motore per l’economia di bottega. Un ceto che oggi non ce la fa più.

Quando si citofona a degli sconosciuti in queste condizioni, letteralmente, può capitare di tutto. Ci sono gli eterni scocciati, disturbati di default da qualunque richiesta, ci sono i possessivi che abbaiano attraverso l’altoparlante, ci sono quelli che si credono i più furbi di tutti, che loro non abboccano alla pubblicità, sono fuori dal sistema e ti hanno beccato, a te, ambasciatore della propaganda che con i tuoi volantini colorati rechi subdoli incentivi al consumo. Non ti apriranno mai, costoro, dato che sei un ingranaggio della macchina mangiasoldi che fa sì che loro, a fine mese, non abbiano mai una lira. Sei un soldato dell’esercito nemico, con le tue liste di prodotti e i tuoi prezzi scontati, e loro ti hanno smascherato.

Negli androni decorosi della classe media, quelli con una bella luce calda e i passeggini lasciati accanto alla rampa delle scale, la volantinatrice e il volantinatore si sentono dei ladri. Imbucano freneticamente e altrettanto di fretta tornano all’esterno, per paura di incontrare qualcuno che, alla loro vista, si senza assediato e reagisca di conseguenza. Sempre più in paranoia, quelli che ancora non sono dei poveracci avvertono pericoli in chiunque bussi alla loro porta, e si sentono minacciati da qualunque azione che veda come obiettivo i loro portafogli e che non sia sufficientemente celata sotto un cerone di branding. I volantinatori, le ultime ruote del carro in fatto di pubblicità, hanno la venalità dipinta sui loro volti scuri di stranieri, oppure di eterni scapestrati incapaci di trovare un lavoro vero. Quando, scendendo le scale, si impatta nelle loro figure infagottate in giacconi cinesi, l’impressione è di quelle che tagliano le gambe a qualunque tentativo promozionale. Tra i migranti, quelli che finiscono a fare questo lavoro sono gli ultimi arrivati, che ancora non sanno mettere in fila più di tre parole di italiano e che in ogni occasione, quando si tratta di avere a che fare con gli autoctoni, hanno lo sguardo sperduto e colpevole di chi si sente ad un esame per cui non si è preparato abbastanza.

I rari italiani appartengono in buona parte alla categoria degli scapestrati: si tratta, di solito, di donne di mezz’età, trafelate oltre ogni dire, che per campare mettono insieme una galassia di minuscoli impieghi del tutto eterogenei e largamente sommersi. Le loro automobili puzzano di verdura marcia a causa delle cassette che smerciano tra i mercati, le loro borse sono sempre a tracolla e sempre troppo piene di roba. Oltre a loro, l’altra categoria maggioritaria tra gli italiani è ancora connotata al femminile, ed è quella delle frontwomen: ragazze, solitamente dall’atteggiamento e dal vestiario educato ma energico, che vengono spedite a diffondere il verbo nelle zone più chic e centrali, affinché dialoghino direttamente con i potenziali clienti e ammorbidiscano i cuori dei portinai nei palazzi più lussuosi. Di questo ordine fa parte la sottoscritta. Mentre il collega pakistano affronta i quartieri più popolari – anche se mai poveri – io vengo spedita tra i portici eleganti, a consegnare volantini con il sorriso sulle labbra e a descrivere, almeno questa sarebbe l’ipotesi, le eccelse qualità del cibo e del servizio di fronte a negozianti, receptionist di ambulatori medici, segretarie di uffici, banche, imprese di ogni genere. Il mio scopo è di fare, appunto, branding, e tra un negozio di borse e una finanziaria, avere anche l’agilità necessaria per infilarmi nei condomini più affollati, superando videocitofoni e perentori divieti incisi su targhe d'ottone.

Nei sogni a occhi aperti del mio datore di lavoro, dietro quelle cassette della posta si trova una popolazione di consumatori che la crisi in realtà ha già quasi ormai ridotto ad una voce sull’enciclopedia e che è destinata a ritirarsi sempre di più. Sbirciando nei loro androni quello che si avverte non è certo la serenità di chi si è sollevato dall’indigenza, ma anzi l’inquietudine di chi si sente perseguitato da pessimi presagi e se la prende con chi minaccia il suo status di consumatore felice e padrone di sé, che è l'unico che riescono ad attribuirsi.

Il volantinatore cerca la solidarietà di classe dei cognomi stranieri, sperando che conservino ancora la memoria dei lavori umili che il consumo ha alle spalle, oppure negli studenti fuorisede, che pure sono un buon target. Gli altri, quelli che hanno nomi regolarmente stampati in lettere ordinate - di solito coppie di nomi - si trincerano dietro cassette dedicate alla pubblicità condominiale e non aprono a nessuno.

5 commenti:

  1. ciao, il tuo racconto della personale odissea nel precariato è bella, toccante e tragicomica quanto un romanzo di Stefano Benni. Proverò a fare la nutella open source e aprirò più volentieri il portone ai volantinari.

    Un saluto

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    1. Grazie mille Giovanni!!! Beh se aprirai più volentieri ai volantinatori questo post ha raggiunto il suo scopo ;)
      Grazie ancora!

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  2. L'analisi sociologica che fai è perfetta, nessuno conosce il vero volto della società più di un volantinatore porta a porta. Propongo di stampare il tuo post in migliaia di copie e fare un'irruzione con lancio di volantini al World Economic Forum di Davos.

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    1. ahah quello che dici è molto lusinghiero, ma penso che per un'azione del genere occorrerebbe qualcosa di più stringato e d'impatto...tipo migliaia di volantini con sopra scritto solo "bastardi".

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  3. Ciao io anche sono un "volantinatore" come ti definisci tu.. ormai ho smesso di suonare a i campanelli non apre piu' nessuno e devo andare talmente di fretta per coprire la mia zona che non posso perder tempo suonando ogni portone..per fortuna noi usiamo le cassette "pubblicità" esterne e abbiamo ordine di metterli li'.. lavoro per grandi catene supermarket ma ho anche clienti che chiedono la preziosa "cassetta privata" ma per fortuna non è la norma..

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