giovedì 15 marzo 2012

Il dono della parola

Per i migranti la lingua dell'arrivo non è un semplice strumento. O meglio, non lo è per il paese a cui giungono. La lingua è un arma utilizzata per gettare acqua sulla minaccia di meticciato che rappresentano, e diventa la via principale attraverso cui ottenere la tanto desiderata "integrazione". Integrare qualcuno in una società, in una comunità nazionale, è un'azione che può essere compiuta solo dopo aver reso quel qualcuno integrabile, e imporre a un* stranier*- come fa la legislazione italiana dal 2009 - di presentare una certificazione di conoscenza della lingua italiana come condizione per l'ottenimento del permesso di soggiorno di lungo periodo, è una scelta che ha davvero poco a che fare con una qualche necessità pratica e con una politica davvero pragmatica sulla migrazione. Del resto, come diceva Sayad (o Sayyad che dir si voglia), nessuno stato è in grado di ideare politiche sulla migrazione che non siano anche provvedimenti morali - e che quindi inevitabilmente prescindano da quelle che sono le urgenze reali - perché quella che lo stato cinge e delimità è anche e soprattutto una comunità morale. La morale che lo stato porta avanti è ovviamente quella della classe che in quel momento è più forte e che è stata in grado di imporre i propri interessi. In questo caso una classe composta, in media, da uomini bianchi, completamente avulsi dalle piccole e grandi problematiche di vita che tutti sperimentiamo (l'affitto, la spesa che costa cara, il lavoro che non c'è e via dicendo), a cui creare fratture nella società e dare vita a un cuscinetto di poverissimi ed emarginati su cui i penultimi possano tutto sommato sentirsi comodi non può che essere utile.

Quindi la lingua smette di essere canale di comunicazione, ponte tra individui e realtà, per diventare invece leva della discriminazione, vessillo che si utilizza contro l'altro per, alla fine, tappargli la bocca. Da quando la legge del luglio 2009 è entrata in vigore, le domande di permesso di soggiorno sono scese anche del 7% tra i migranti con grandi difficoltà nei confronti della lingua italiana (come quelli di provenienza cinese) o quelli con bassa scolarità e quindi maggiori difficoltà nel seguire un corso di lingua e superare un esame (fonte Fernanda Minuz). Questo non significa che quei migranti non ci sono più, ma che sono più clandestini e fragili di prima e, quindi, più utili a fare da manodopera semi-schiavizzata o a fungere da bersaglio per eventuali ulteriori provvedimenti repressivi, da sbandierare in periodo elettorale. E dalla Montblanc dei legislatori, questo inchiostro gocciola fino ad inquinare le falde - già di per sé esposte e drammaticamente vicine alle discariche - della società.

A., uno dei ragazzi pakistani che lavorano con me, ha la quinta elementare e da due giorni non apre bocca. I due uomini bianchi che gli danno gli ordini non gli fanno passare un errore grammaticale, una coniugazione sbagliata, un avverbio reinventato nel modo particolare che è proprio di coloro che parlano punjabi. Quando non basta l'italiano a zittirlo, utilizzano contro di lui il dialetto, la lama affilata dell'infanzia e delle cose più private, quelle che per A. saranno per sempre sconosciute. Ma il dialetto di questi uomini bianchi è sporco, le sue metafore sono imbrattate anch'esse di migrazione. E allora c'è l'arma suprema, quella che fa più male, la bestemmia. "Io mica lo penso davvero", dice uno degli uomini bianchi quando lo straniero, per l'ennesima volta, gli chiede di non bestemmiare di fronte a lui, "lo dico per dire". Ovvero, lo dico per te.

4 commenti:

  1. Resto convinta che il linguaggio sia un'arma, che può essere declinata in mille modi. Tu ne racconti uno forse subdolo ma micidiale... grazie del post

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    1. grazie a te sweepsy! diciamo che è un'arma impropria, come un cacciavite.

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  2. Il linguaggio è un'arma come e più di molte altre. Chi conosce la parola, chi ha accesso al sapere, chi lo possiede, ha il potere. E' sempre stato così. Lo è ancora e lo sarà per sempre, immagino. Credo che il problema dell'immigrazione e della scolarizzazione abbia molti punti critici e necessiti di azioni molto più concrete, ragionate e meno propagandistiche di quanto fatto sino ad ora.

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  3. Ho letto questo post subito dopo quello qui sopra e mi è sembrato abbastanza a tema.
    A parte l'ironia, è proprio un esempio di come le parole possono essere un'arma contro lo straniero. Chomsky sarebbe pienamente d'accordo.

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