In un bar del centro c'è una cameriera piuttosto scontrosa. Non sorride mai, non alza lo sguardo sui clienti quando li serve, ma mantiene gli occhi fissi sui bicchieri e sulle tazze che sta scaricando al tavolo. Attraversa il locale a grandi falcate, con aria indifferente. Un amico, mentre aspettavamo che lei ci servisse, una volta disse che quella ragazza aveva precisamente l'aria di una capace di prendere un cliente a morsi.
Il bar è uno di quei bar in cui appena cala il sole la gente inizia a parlare a voce troppo alta. Quella volta feci notare al mio amico il fatto che, in un posto del genere, una cameriera carina e gentile allo stesso tempo avrebbe una vita tutt'altro che facile. I clienti ci mettono un attimo a scambiare la tua buon educazione per disponibilità sessuale, specialmente dopo un paio di spritz.
La molestia non è qualcosa di riducibile al suo semplice aspetto sessuale. Quando un cliente, un passante, un professore o chicchessia ti rompe le ovaie a proposito del tuo culo, del tuo bel visino o di qualunque altra cosa, non ti sta, ovviamente, facendo un complimento, e fin qui ci siamo. Sta facendo di te un oggetto, e questo è certo, ti sta dicendo, sotto sotto, "tu sei mia se lo voglio". Ma non solo, sta anche dicendo "il tuo bar è mio, questa strada è mia, le aule in cui studi sono mie", Sta esprimendo la sua supremazia sui tuoi luoghi, sul tuo tempo, sulle cose in cui investi le tue energie e sulle tue necessità.
Il tuo corpo e la tua mente puoi sottrarle ad un uomo, difendendoti da lui. Ma il tuo luogo di lavoro? La tua università? Le strade in cui cammini? Tu, da sola, non basti. Puoi schivare il viscidume degli uomini mostrandoti particolarmente antipatica, ma non puoi impedirgli di dettare legge dove trascorri il tuo tempo, dove impari, dove ti guadagni da vivere.
E anche se sono d'accordo con la maggior parte di quanto scritto dall'autrice di questa magnifica lettera, non credo affatto che ciò di cui abbiamo bisogno siano luoghi protetti, rifugi in cui costruire le nostre vite, al riparo. Quello che ci vuole, credo, è invece un'alta marea che affoghi tutti coloro che, appesantiti dai loro ego gonfi di testosterone, non siano capaci di smetterla; un'ondata che, ritirandosi, scopra finalmente strade in cui possiamo camminare in pace, e bar in cui possiamo servire birre su birre senza doverle contare, senza dover monitorare lo stato alcolemico dei clienti per evitare che ci rovinino l'ennesima serata.
Io sono stata fortunata. Per una settimana è venuto a lavorare in pizzeria un cuoco amico del mio capo, uno di quegli uomini che amano riempire l'aria attorno a sé del frastuono delle loro battute, del chiasso dei loro doppisensi, urlati e ripetuti solo perché urlare e ripetere "io sono maschio e tu no" risulterebbe alla lunga poco divertente persino alle orecchie di quegli imbecilli dei loro amici. Sapendo che questo atteggiamento da primate, ovviamente, mi infastidiva, il cuoco lo perpetrava in mia presenza persino con maggiore convinzione. Le sue eccezionali affermazioni di virilità consistevano, ad esempio, nell'innalzare in cucina sculture vegetali in cui a spiccare, tipicamente, erano grosse carote piantate in verticale, posizionate dove io potessi ritrovarmele proprio davanti agli occhi. A causa delle sue simpatiche trovate ho passato una brutta settimana. Per fortuna, ripeto, il tizio è rimasto solo qualche giorno, ma se non fosse andata così? Che avrei fatto?
Nonostante l'apparenza irsuta, il testosterone è un ormone debole, basta poco per mandarlo in crisi. Per lo stesso principio, dovrebbe essere tutt'altro che impossibile insegnare ai ragazzi a non molestare, a lasciare in pace le loro simili. Per quando riguarda molti uomini adulti, credo che l'unica cosa saggia da fare sia evitare che nuociano e attendere che il tempo ce ne liberi, ma i ragazzi?
Ancora una volta, non siamo noi donne a dover imparare, non siamo noi che sbagliamo, sono gli uomini. E allora, che siano loro a fare i corsi di recupero, che siano loro i destinatari delle pubblicità progresso, delle statistiche e dei volantini sulla violenza di genere. I luoghi in cui si verbalizza la violenza, in cui la violenza appare e viene discussa, sono solo ritagliati su di noi, sono solo nostri. La violenza di genere non è nostra, è loro, da sempre.
Questo post arrabbiato e sconclusionato è stato ispirato da quest'altro post di Lipperatura, a sua volta collegato all’uscita delle inquietanti statistiche sulla violenza di genere subita dalle studentesse dell’Alma Mater di Bologna.
Nessun commento:
Posta un commento