lunedì 7 novembre 2011

La crisi e i cortocircuiti del maschilismo

La settimana scorsa il mio capo ha cacciato il cuoco neoassunto, quello che doveva scalzarmi dal mio posto di lavoro come tuttofare generica in nero. L'ex-neocuoco ha poco più di vent'anni, ed è appena arrivato a Bologna dal sud. Il capo l'ha mandato via non appena si è presentata l'occasione, approfittando di un cliente scontento per accusare il poveretto di un errore in cui non c'entrava praticamente nulla. Il ragazzo ha inghiottito la rabbia e ha chiesto scusa, ma non è servito. Ecco come salgono gli indici di disoccupazione giovanile, con un grumo di merda e di lacrime buttato giù, e qualcuno dall'altra parte a cui non importa niente.

Quando ho saputo che il cuoco era stato mandato via e che il mio stipendio era salvo, lì per lì non ci ho capito nulla. Ho pensato si trattasse di una questione personale o del segno definitivo della pazzia del capo, ma poi la triste verità mi è arrivata alle orecchie tra le chiacchiere della cucina: io costo meno.

A giugno, durante le strane settimane del presidio accampato di Piazza Maggiore, decidemmo di organizzare un laboratorio sulla discriminazione di genere. Sapevamo che avrebbero partecipato molti passanti e tanta gente che non aveva mai realmente affrontato il discorso, così optammo per lasciar fluire il dibattito, per vedere dove portava. Ebbene, la maggior parte degli uomini intervenuti sostenne la tesi che la discriminazione nei confronti delle donne non esista, e che in realtà le donne siano spesso avvantaggiate sul lavoro e nella vita. Credo di aver già parlato di quanto l'ondata di quel discorso - pronunciato con rabbia o con risatine di sufficienza, con fatalismo o con paternalismo viscido - mi colpì. Non c'era quasi bocca maschile che non ne esternasse una sua versione.

Chiunque abbia letto Operaie, lo splendido reportage di Leslie T. Chang, ha certamente ricavato la mia stessa impressione: il capitalismo attuale si relaziona con le donne in modo particolare. Le donne sono, diciamo, i suoi lavoratori ideali. Meno sindacalizzate degli uomini, sono anche più ricattabili, per ovvie ragioni biologiche, e rimpiazzabili, perché spesso ricoprono mansioni generiche. E' per questo che a volte, durante congiunture economiche come quelle - di crisi - in cui stiamo vivendo, le premia. Nel complesso la società è più povera. Anche le donne lo sono, perché non crescono i loro stipendi e diminuiscono quelli dei loro mariti, padri, fratelli, figli o compagni. Eppure, ad occhi offuscati come quelli dei passanti di Piazza Maggiore sembra che le donne vincano. Chissà se è la stessa cosa che ha pensato il povero cuoco.

Qui un post di Struggles in Italy sull'argomento e qui uno di Lipperatura sull'ultimo Gender Gap Report.

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