mercoledì 2 novembre 2011

Psicopatologia alimentare della crisi

Nelle cucine il tempo passa rapido, così rapido che dopo tanti anni in Italia sei povero come quando eri appena arrivato, anzi persino di più. Così rapido che l’italiano lo balbetti a malapena, e ancora utilizzi la terza persona dei verbi quando parli di te. Ne butti via a palate di tempo, tutti i giorni della tua vita tranne qualche sabato o domenica mattina, per dormire. Non te ne accorgi nemmeno, da tanto sei abituato a perderlo per strada. Ti scivola fuori dalle tasche assieme agli spiccioli.

Dall’altra parte del banco, là dove non arriva il calore dei forni, il tempo invece va centellinato minuto per minuto, va divorato fino all’ultimo secondo, per non perdere il ritmo e non farsi lasciare a terra dal folle autobus ai cui sedili tocca stare aggrappati. Anche il cibo è diventato un’unità di tempo, una casella tra le tante, che può schiudersi aprendo il coperchio di una vaschetta d’alluminio. Il suo contenuto - il calore e l’energia che sosterranno una giornata di lavoro - è un nome che compie il viaggio di andata dentro un filo del telefono, e quello di ritorno in una cassa legata a un motorino.

Nei momenti di magra, quando il cibo degli altri rimane a stagnare nei frigoriferi, inizia la processione degli emissari dei vari giganti del coupon: Groupon, Groupalia e così via. Loro sanno quando si lavora meno e quando i titolari sono più sensibili a tutte quelle sgangherate proposte che promettono di tenerli a galla. Arrivano a luglio o nelle vuote giornate di ponte, quando semplicemente tener aperto un locale significa rimetterci diversi biglietti da cento. E allora ecco la loro soluzione: il coupon, il ristorante a portata di crisi. Una proposta con talmente tanti non detti da rasentare il confine della truffa.

E quando i clienti arrivano, con in mano il loro coupon fresco di stampante, glielo leggi in faccia quasi sempre che sapere chi c’è dall’altra parte del banco gli importa ancora di meno che ai clienti delle vaschette di alluminio. Vengono da te per riempirsi la pancia il più possibile, non importa di cosa. Per bere fino all’ultimo sorso di quello che il loro foglietto vale, e possibilmente di più. E’ una bulimia che mastica denaro e carta, prima che cibo.

A volte qualcuno telefona per sapere se possiamo andare a comprargli le sigarette o a fargli un po’ di spesa, mentre gli portiamo la cena. Di solito nella voce c’è un velo di imbarazzo, perché a rispondere al telefono c’è un’italiana. Nelle decine di pizzerie di proprietà di stranieri che ci sono in questa città, fare questo genere di servizi è la norma, specialmente da quando i soldi in circolazione sono diventati di meno.

Intanto il fiume di cibo, nell’indifferenza generale, continua a scorrere.

2 commenti:

  1. Preso da un raptus di follia, la scorsa estate ho acquistato un coupon per un ristorante (38€). Non ho mai avuto il coraggio di usarlo per tutti i motivi descritti nel post

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  2. Io ne comprai uno per dormire in albergo. Per quanto riguarda i ristoranti certamente non conviene comprarli, e non solo per motivi etici. Diciamo che per non rimetterci devono rifilare ai clienti il peggio che hanno...

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