Di M. non so quasi nulla, se non che lavora per una importante finanziaria internazionale e che ha l'ufficio dietro una delle finestre del palazzo di vetro nero che l'azienda possiede.
Ci sono alcune cose, però, che posso immaginare di lei. Immagino ad esempio che nei giorni scorsi abbia guardato fuori appena sveglia, per controllare se stesse ancora nevicando e se la coltre bianca che in questi giorni è caduta sulla città si fosse dissolta o fosse ancora lì. Se abita fuori dal centro, la immagino uscire da casa molto presto, per spalare la neve e il ghiaccio accumulato sulla macchina. La immagino magari recitare un piccolo scongiuro e mettersi in viaggio meno tranquilla del solito, al momento di avviare il motore. Arrivata al lavoro, avrà scambiato qualche battuta con i colleghi a proposito del clima e poi, prima di cominciare ufficialmente le otto ore, avrà controllato i siti meteo e quelli sulla viabilità per sapere cosa aspettarsi a fine giornata. Infine avrà forse fatto una capatina su una delle decine di gallery spuntate in ogni quotidiano web della rete, per vedere la sua città dall'alto coperta di neve, o il colosseo sotto nuvole di fiocchi.
Eppure non si è fatta alcun problema a telefonare a una rosticceria che si trova a tre chilometri di distanza perché le portassero il pranzo, né ha avuto un qualche scrupolo nel reclamare per l'ovvio, inevitabile ritardo nella consegna. Perché la neve non è una faccenda metereologica con cui fare i conti, un qualcosa che ci riguarda tutti e a cui tutti in qualche modo dobbiamo adattarci. E' un fatto estetico più che altro, un argomento di conversazione e un coretto da intonare tutti insieme, a mò di saluto.
La pelle di qualcun altro, costretto ad affrontare pericolosi sottopassi, incroci ciechi, lastre di ghiaccio su due sole ruote, al solo scopo di consegnare un pranzo, non è un argomento, non è una questione. La questione è la pausa pranzo, e quella non cambia a seconda dei capricci delle perturbazioni. Eccola la flessibilità: non si tratta di adattarsi alle mutate condizioni globali (che siano sociali, economiche, climatiche, energetiche...), ma di spalmarsi sulle necessità di chi ha in mano il denaro e il potere. Chi si trova in posizione di superiorità detta le condizioni. E' questa la flessibilità.
Di recente il capo mi ha sostanzialmente imposto di fare le consegne. Non avendo il motorino gli unici mezzi a mio disposizione sono la bicicletta e le gambe. Il secondo giorno del "nuovo corso" mi ha spedita in un ufficio piuttosto lontano, carica di cibo e bevande. Ovviamente mi sono infuriata. Gli ho detto che non poteva farmi rischiare in quel modo e che una bicicletta non è un motorino. Una cosa che anche un bambino di tre anni riuscirebbe a capire. Va bene, mi ha detto e ci siamo più o meno accordati.
Quella sera stessa ho incontrato almeno tre ragazzi stranieri che facevano le consegne in bici. Non ne avevo mai visti così tanti. Uno di loro teneva la borsa delle pizze appesa al manubrio pedalando a gambe larghe. Un altro guidava con una mano sola, e con quella libera reggeva un sacchetto pieno di vassoi d'alluminio e dall'aria molto pesante. Allora ho capito cosa aveva in mente il mio capo.
Da quando la benzina ha raggiunto prezzi esorbitanti, sono evidentemente sempre di più coloro che scelgono di abbandonare l'assai più riposante e sicuro motorino per preferirgli la bici. Il costo del carburante è a carico di chi fa le consegne, e basta un aumento di pochi centesimi nel prezzo al litro della benzina per erodere uno stipendio già miserabile. Visto che mai e poi mai il datore di lavoro accetterà di contribuire alle spese, meglio rischiare la testa guidando con una mano sola. E' così che si è flessibili.
Comunque gli affezionati del cibo a domicilio possono sentirsi a posto con la coscienza: quando nevica troppo forte le consegne si fanno a piedi. Anche una decina di consegne per sera. Anche a uno o due chilometri di distanza. Buon appetito.
Ci sono alcune cose, però, che posso immaginare di lei. Immagino ad esempio che nei giorni scorsi abbia guardato fuori appena sveglia, per controllare se stesse ancora nevicando e se la coltre bianca che in questi giorni è caduta sulla città si fosse dissolta o fosse ancora lì. Se abita fuori dal centro, la immagino uscire da casa molto presto, per spalare la neve e il ghiaccio accumulato sulla macchina. La immagino magari recitare un piccolo scongiuro e mettersi in viaggio meno tranquilla del solito, al momento di avviare il motore. Arrivata al lavoro, avrà scambiato qualche battuta con i colleghi a proposito del clima e poi, prima di cominciare ufficialmente le otto ore, avrà controllato i siti meteo e quelli sulla viabilità per sapere cosa aspettarsi a fine giornata. Infine avrà forse fatto una capatina su una delle decine di gallery spuntate in ogni quotidiano web della rete, per vedere la sua città dall'alto coperta di neve, o il colosseo sotto nuvole di fiocchi.
Eppure non si è fatta alcun problema a telefonare a una rosticceria che si trova a tre chilometri di distanza perché le portassero il pranzo, né ha avuto un qualche scrupolo nel reclamare per l'ovvio, inevitabile ritardo nella consegna. Perché la neve non è una faccenda metereologica con cui fare i conti, un qualcosa che ci riguarda tutti e a cui tutti in qualche modo dobbiamo adattarci. E' un fatto estetico più che altro, un argomento di conversazione e un coretto da intonare tutti insieme, a mò di saluto.
La pelle di qualcun altro, costretto ad affrontare pericolosi sottopassi, incroci ciechi, lastre di ghiaccio su due sole ruote, al solo scopo di consegnare un pranzo, non è un argomento, non è una questione. La questione è la pausa pranzo, e quella non cambia a seconda dei capricci delle perturbazioni. Eccola la flessibilità: non si tratta di adattarsi alle mutate condizioni globali (che siano sociali, economiche, climatiche, energetiche...), ma di spalmarsi sulle necessità di chi ha in mano il denaro e il potere. Chi si trova in posizione di superiorità detta le condizioni. E' questa la flessibilità.
Di recente il capo mi ha sostanzialmente imposto di fare le consegne. Non avendo il motorino gli unici mezzi a mio disposizione sono la bicicletta e le gambe. Il secondo giorno del "nuovo corso" mi ha spedita in un ufficio piuttosto lontano, carica di cibo e bevande. Ovviamente mi sono infuriata. Gli ho detto che non poteva farmi rischiare in quel modo e che una bicicletta non è un motorino. Una cosa che anche un bambino di tre anni riuscirebbe a capire. Va bene, mi ha detto e ci siamo più o meno accordati.
Quella sera stessa ho incontrato almeno tre ragazzi stranieri che facevano le consegne in bici. Non ne avevo mai visti così tanti. Uno di loro teneva la borsa delle pizze appesa al manubrio pedalando a gambe larghe. Un altro guidava con una mano sola, e con quella libera reggeva un sacchetto pieno di vassoi d'alluminio e dall'aria molto pesante. Allora ho capito cosa aveva in mente il mio capo.
Da quando la benzina ha raggiunto prezzi esorbitanti, sono evidentemente sempre di più coloro che scelgono di abbandonare l'assai più riposante e sicuro motorino per preferirgli la bici. Il costo del carburante è a carico di chi fa le consegne, e basta un aumento di pochi centesimi nel prezzo al litro della benzina per erodere uno stipendio già miserabile. Visto che mai e poi mai il datore di lavoro accetterà di contribuire alle spese, meglio rischiare la testa guidando con una mano sola. E' così che si è flessibili.
Comunque gli affezionati del cibo a domicilio possono sentirsi a posto con la coscienza: quando nevica troppo forte le consegne si fanno a piedi. Anche una decina di consegne per sera. Anche a uno o due chilometri di distanza. Buon appetito.
Nessun commento:
Posta un commento